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 2015  agosto 13 Giovedì calendario

«La letteratura è morta. E il colpo di grazia l’ha dato Umberto Eco». Parla Franco Cordelli. «“Il nome della rosa” è la fuga da tragedia e politica, il capostipite del nuovo prodotto di consumo. È sbalorditivo come la grande maggioranza degli scrittori non sia consapevole della propria ininfluenza. Uno può vendere mille copie oppure centomila ed è assolutamente la stessa cosa, a parte l’ovvio vantaggio economico»

Scrittore, poeta, saggista, critico, una produzione romanzesca che parte da Procida (1973) e arriva a La marea umana (2010), Franco Cordelli vede due mari: la società letteraria politicamente attiva di Scrittori e popolo e l’odierna morta gora di Scrittori e massa, secondo il vallo tracciato da Alberto Asor Rosa a mezzo secolo di distanza. “Ho letto Scrittori e popolo quando uscì, nel ’65, mentre all’università seguivo le lezioni di Elémire Zolla; ascoltarlo e capire che già allora vivevamo in una società di massa, era tutt’uno. Credo sia per questo che l’analisi di Asor Rosa mi apparve in ritardo, fondata su un popolo che già non esisteva più”.
Al di là di questo, Asor Rosa descriveva una dialettica tra letteratura e società che oggi, dice, si è dissolta.
Ma questo è talmente sotto gli occhi di tutti! Oggi la frattura è totale, ed è sbalorditivo come la grande maggioranza degli scrittori non sia consapevole della propria ininfluenza. Uno può vendere mille copie oppure centomila ed è assolutamente la stessa cosa, a parte l’ovvio vantaggio economico.
Cosa ricorda degli anni Sessanta e Settanta?
I due decenni sono molto diversi tra loro. Negli anni Sessanta non facevo parte di alcuna società letteraria; eppure mi sembrava di farne parte. Non parteggiavo per nessuna delle due forze in campo, la tradizione incarnata da Moravia e Cassola da una parte e l’avanguardia del Gruppo 63 dall’altra, ma ero interessato a tutto.
Gian Arturo Ferrari ha ironizzato sui limiti di quella società, prendendo a esempio le polemiche sugli amori di “Metello”.
Mi pare un esempio tendenzioso. Allora c’erano anche le battaglie di Giorgio Bassani, direttore editoriale di Feltrinelli, per fare solo un altro esempio. Cose che oggi ce le sogniamo.
E gli anni Settanta?
Dopo il ’68, con la chiusura di Alfabeta, la rivista della neoavanguardia, si aprì una fase nuova, di deserto; man mano che io stesso entravo a far parte di una piccola o grande comunità letteraria avvertivo che era in gran parte lettera morta. C’erano ancora i cosiddetti “grandi scrittori”, penso in particolare a Sciascia, Calvino e Pasolini, che però rifulgevano proprio in quanto si stava facendo il vuoto. Il mondo era già da un’altra parte.
C’è un momento in cui anche questa stagione terminale viene meno?
Credo di sì, e il colpo di grazia arrivò proprio da una delle persone che avevano chiuso Alfabeta, Umberto Eco. La pubblicazione del Nome della rosa, nel 1980, è stato il punto di svolta. L’idea che fosse possibile chiudere con le tragedie, le morti e la politica, ci si potesse volgere al passato e scrivere un romanzo storico, addirittura di storia medievale. Un ripristino fittizio del ruolo dell’intellettuale; in realtà, l’origine di tutta la letteratura di consumo arrivata nei 35 anni successivi. L’atto di nascita dello “scrittore medio”.
Chi è lo scrittore medio?
Ne siamo letteralmente circondati. Le faccio un paio di nomi, tra i tanti possibili: Melania Mazzucco e Valeria Parrella. Tipiche scrittrici medie, che vanno bene per un pubblico altrettanto medio, non definibile in termini culturali, e dunque inesistente.
Gli autori medi sono aumentati in modo esponenziale, ma la società letteraria è sparita. Come si spiega questo paradosso?
Questa è l’unica intuizione che riconosco a me stesso. Risale al ’74, quando pubblicai Il pubblico della poesia, dove sostenevo che il pubblico della poesia erano i poeti. Oggi la stessa cosa si può dire del pubblico del romanzo. Non esiste più un pubblico del romanzo che non sia composto, in definitiva, dagli stessi romanzieri. Se anche i lettori della Mazzucco sono trentamila, non ce n’è uno che se un romanzo non l’ha già scritto, comunque lo scriverà, o potrebbe scriverlo domani.
Per Asor Rosa, i primi a spingere la letteratura verso la narrativa di consumo sono gli editor.
Questo suppongo sia vero, ma è anche ovvio, dar loro la colpa ho la sensazione che sia un modo di confondere la causa con l’effetto. Credo che in Asor Rosa ci sia un errore di prospettiva tipico della sua generazione; l’idea teorizzata da Hans Robert Jauss secondo cui le opere sono significative in quanto recepite dai lettori. L’editor ha seguito il corso dei tempi e fa il suo mestiere: deve pubblicare qualcosa di decente, e che possa essere letto. Prende un romanzo scritto da uno dei 30 mila lettori della Mazzucco e cerca di migliorarlo. Più significativo è che oggi in Italia quasi tutti i libri difficili, e importanti, sono pubblicati dalle piccole case editrici, in barba alla teoria della ricezione.
E la scomparsa della critica? Causa o effetto?
L’una e l’altro. È tutto un sistema che funziona in un certo modo, e vede storicamente esaurita la funzione della letteratura come ricerca, espressione critica. Quando mi sento rispondere che il romanzo non è morto, anzi, non se ne vedono tanti come oggi, mi viene da ridere: più romanzi ci sono e meno il romanzo ha valore, potenza, senso. Quanto alla poesia, si è portata avanti e riposa in pace da un pezzo, è inutile stracciarsi le vesti sulla chiusura di questa o quella collana.
In “Scrittori e massa” si teorizza anche la fine dell’impegno con l’eccezione di Roberto Saviano.
Nella letteratura di paesi che tendiamo a considerare periferici, sbagliando, ad esempio i narratori africani, libri come Gomorra non sono un’eccezione, non c’è un loro titolo che non sia anche un libro di denuncia. Da qui a vedere in Saviano una figura intellettuale di riferimento, ce ne corre. Parliamo di uno scrittore lodevole, ma che appartiene al passato, nel solco di Malaparte. Senza dargli dell’epigono, non è un caso che la riscoperta di Malaparte sia avvenuta all’indomani del successo di Gomorra.
Se la morte di certa letteratura è un dato di fatto, le chiedo: rinascerà?
Credo di no. È come chiedersi se rinasceranno i chiosatori dei testi sacri. Sono stati chiosati, anche troppo. Niente muore veramente, ma la letteratura capace di portare un frutto di novità sarà sempre più rara, e difficile da trovare.
Cosa pensa dell’unica vera novità di questi anni, la pagina dei ringraziamenti?
Se non vogliamo riderci sopra, il significato è evidente. È una mutazione del rapporto tra il lettore e l’autore. Balzac si accontentava di dedicare il romanzo a un amico, oggi il minimo è una decina di nomi a romanzo. Anche questo indica l’omogeneità con il mondo da cui è scaturito, mentre il libro dovrebbe essere qualcosa di disomogeneo. Siamo arrivati agli antipodi di Kafka, che proprio non me lo vedo a ringraziare Max Brod. Casomai gli avrà mandato qualche accidente, visto che gli aveva chiesto di bruciare tutto.