Corriere della Sera, 13 agosto 2015
E i preti cosa ne pensano? Il padre gesuita Semino mette a confronto il governo con la Chiesa: «Renzi ha cambiato il linguaggio della politica. Diciamo che lo stiamo facendo anche noi»; monsignor Perego, segretario di Migrantes, ricorda «che parlare di respingimenti vuol dire uccidere»; Monsignor Feroci, direttore della Caritas diocesana di Roma, ne fa una questione di numeri e di cultura: «Galantino è appena tornato dalla Giordania dove ha visto un governo che, con sei milioni e mezzo di persone, accoglie due milioni di profughi. E il Libano? Quattro milioni e mezzo di abitanti e due milioni di profughi. L’integrazione è una ricchezza, anche economica»
La Conferenza Episcopale Italiana di appena qualche anno fa, paludata e misuratissima nelle parole e negli atti, è relegata nella polvere degli archivi. Monsignor Nunzio Galantino, segretario della Cei e sempre più «ambasciatore in Italia» del pensiero di papa Francesco, attacca il governo che sull’immigrazione «è del tutto assente», incapace di modificare una legislazione a suo avviso «nemica dell’integrazione», così come contesta «i piazzisti di fanfaronate da osteria, le chiacchiere da bar che rilanciate dai media rischiano di provocare conflitti». Le precisazioni successive non cancellano l’impatto.
Cos’è accaduto? Il padre gesuita (come papa Francesco) Gabriele Semino, della comunità «San Michele» di Cagliari e responsabile per la Sardegna del Movimento Eucaristico Giovanile, propone sorridendo un parallelo: «Nella politica italiana Matteo Renzi ha cambiato il linguaggio, togliendo di mezzo molti barocchismi. Diciamo che lo sta facendo anche la Chiesa italiana. Monsignor Galantino dice ciò che pensa e, a mio avviso in modo provvidenziale, mostra ciò che la Chiesa sta facendo sull’immigrazione, impegnando risorse, persone, competenze. L’impegno è antico, c’è sempre stato ma ora è cambiata, è vero, la modalità di comunicarlo. C’è continuità nella sostanza, meno nella diplomazia...».
E sono tanti gli ecclesiastici che sempre più si esprimono con provocatoria trasparenza e condividono il linguaggio del segretario della Cei che se la prende sia col governo Renzi che con Grillo-Salvini-Zaia. Dice monsignor Giancarlo Perego, segretario di «Migrantes», l’organismo pastorale della Cei che si occupa appunto di immigrazione: «Non è un semplice abbandono di termini diplomatici. Qui si tratta di spiegare con determinazione che stiamo affrontando un problema che mette a rischio la democrazia nel nostro Paese e in Europa. La Cei ha il dovere di far capire che negare il diritto di asilo a chi fugge da condizioni di vita impossibili è davvero un attentato alla democrazia, così come il ritorno ai nazionalismi rimette in discussione l’Europa. E che parlare di respingimenti, come ha spiegato papa Francesco, vuol dire uccidere: di fronte agli omicidi non si può tacere. Non siamo solo noi, a esprimere preoccupazione ai governanti e alla politica. Lo sta facendo anche la Chiesa cattolica francese e quella anglicana in Gran Bretagna».
C’è anche chi, come monsignor Giancarlo Bregantini, arcivescovo metropolita di Campobasso-Boiano (famoso per il suo impegno contro la ‘ndrangheta, scrisse lui le meditazioni per la via Crucis papale del venerdì santo 2014) indica modelli concreti: «Io penso che la politica dovrebbe raccogliere gli inviti a vedere ciò che avviene nel territorio. Il Molise, che ha appena 300 mila abitanti, ha in proporzione un gran numero di immigrati. La soluzione si è trovata nella collocazione in ogni paese, anche piccolo, di nuclei tra gli 8 e i 15 individui. Con i sindaci, che spesso agiscono ben più operosamente di tanti parlamentari litigiosi, abbiamo individuato come Chiesa un’ottima collaborazione». Segue un richiamo molto «alto»: «La politica dovrebbe avere lungimiranza. Dovrebbe ricordare che De Gasperi diceva che il vero statista pensa alle future generazioni, non alle prossime elezioni. Invece oggi si cerca il consenso populista, non più popolare». Infine c’è chi è esposto in primissima linea come monsignor Enrico Feroci, direttore della Caritas diocesana di Roma, la più vasta e articolata del Paese: «Monsignor Galantino è appena tornato dalla Giordania dove ha visto un governo che, con sei milioni e mezzo di persone, accoglie due milioni di profughi. E il Libano? Quattro milioni e mezzo di abitanti e due milioni di profughi. Noi siamo vicini ai drammi di questa povera gente, conosciamo i loro dolori fisici e psicologici, perché ci sono ferite visibili ma anche invisibili, ci sono anime spezzate».
Monsignor Feroci deve fermarsi, anche lui parla con foga e passione: «Gli italiani dovrebbero provare a immedesimarsi in chi si imbarca con disperazione su un gommone e dice a se stesso, adesso accada quel che accada, meglio morire in mare che lì. Lì nella sua terra!». Un’ultima frase: «L’integrazione è una ricchezza, anche economica. Se invece incrementiamo la paura e l’odio, nutriamo la cultura dell’uno contro l’altro».