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 2015  agosto 12 Mercoledì calendario

Gli zombie sono fra noi, anzi, gli zombie siamo noi. Si moltiplicano gli studi che affrontano il mostro più emblematico del nostro tempo: dal cinema alla letteratura, i morti viventi rappresentano l’uomo ridotto all’unica dimensione del consumo

Nel 1929 William Seabroook pubblica un reportage sull’isola di Haiti, The Magic Island. L’autore del libro è un personaggio singolare; introdotto nei circoli surrealisti, in particolare presso Georges Bataille e la sua rivista dissidente Documents, è giornalista, etnologo, colleziona maschere fetish; amante delle pratiche sessuali estreme è stato accusato di praticare il cannibalismo, morirà nel 1945 suicida a New York con una overdose di droga.
Seabrook sbarca a Haiti deciso a scrivere un successo editoriale nel momento in cui l’isola caraibica è al centro del dibattito americano di politica estera; nel 1915 vi è stata importata la «democrazia». Il piccolo stato, poi, ha conosciuto nell’Ottocento un esperimento politico effetto dalla Rivoluzione francese, la Black Repubblic, come racconta Cyril Lionel Robert James in I giacobini neri (Derive Approdi), episodio che aveva messo in subbuglio i sostenitori dello schiavismo americano. Nel crogiuolo isolano di religioni, classi sociali, razze, conflitti, magie e superstizioni, Seabrook riesce a farsi adottare da una maman haitiana e scopre gli zombie.
Operai abbrutiti
Sono gli operai della Hasco, la gigantesca fabbrica dove si produce il rum e si raffina lo zucchero, abbruttiti dal lavoro, ridotti in condizione di semischiavitù, veri e propri animali da soma, cui viene data una sorta di droga per sopportare la terribile fatica. Il libro non otterrà il successo che Seabrook si attendeva, ma ispirerà il primo film di una lunga serie dedicata agli zombie, White zombie, di Victor Halperin uscito nel 1932. Sono gli anni della Grande crisi del Ventinove, segnata dal crollo di Wall Street e del passaggio a una nuova fase del capitalismo mondiale; forse non è un caso che proprio allora nasca uno dei nuovi miti della modernità, e anche della postmodernità, novecentesca, in cui, come nota nel suo saggio Rocco Ronchi, zombie Outbreak (Texus Edizioni), sembra prendere forma uno dei fantasmi del secolo breve secolo: la forza lavoro.
Macchine viventi
Gli zombie ne sono l’incarnazione in senso letterale, macchine viventi «che simulano la vita al fine di lavorare». Sull’origine della parola messa in circolazione da Seabrook, zombie, non c’è accordo. Entrata nella lingua inglese intorno al 1871, secondo alcuni deriverebbe dalla espressione zonbi, presente nel creolo della Louisiana e di Haiti; secondo altri invece viene da jumbie, termine usato dai nativi americani dell’Ovest per indicare gli spiriti; un’altra versione sostiene che l’origine è piuttosto africana, nzambi, parola con cui s’indica lo spirito di una persona morta. Del resto, gli zombie sono dei morti viventi: né morti né vivi, uno stato intermedio.
Arriva Romero
Ad aver dato grande popolarità all’immagine degli zombie – rigorosamente al plurale, perché ricorda Ronchi non esiste lo zombie singolo ma solo come gruppo – è stato il regista americano d’origine ispanoamericana, George Romero. Nel 1968 – altro anno topico – ha realizzato il suo primo film di una trilogia, tra le più famose del cinema horror: La notte dei morti viventi, cui sono seguiti L’alba dei morti-viventi (1978) e Il giorno dei morti-viventi (1985). Come mostra Ronchi, filosofo e saggista, l’opposto degli zombie è il vampiro. Il vampiro della tradizione letteraria e cinematografica, agisce di notte, non è altro che un aristocratico, figlio di un mondo al tramonto, romantico individualista mentre sta sorgendo il nuovo mondo borghese con le sue forze produttive (gli zombie agiscono di giorno, come mostrano i due film seguenti di Romero).
Questo paragone tra vampiro e zombie è stabilito da un altro libro dedicato ai morti-viventi, pubblicato quasi in contemporanea, opera di un intelligente comparativista con studi americani, Stefano Tani: Lo schermo, l’Alzheimer, lo zombie. Tre metafore del XXI secolo (Ombre corte). Tani ha sviluppato l’idea dello zombie come culmine dello svuotamento, della perdita di sé, incominciata, a suo dire, con l’avvento degli schermi dei computer, che passa attraverso l’oblio dell’Alzheimer, la malattia dell’oblio, e culmina con gli zombie, metafora dei consumatori privi di vera volontà, descritti da Baumann in Homo consumens (Erikson). Sia Ronchi che Tani notano come il film chiave di Romero sia il secondo, Dawn of the Dead, del 1978, che si svolge in un centro commerciale. Gli zombie sarebbero, sostiene il filosofo, la «moltitudine illimitata e formicolante».
Non bisogna dimenticare che il mito dei morti-viventi si è sviluppato principalmente negli Stati Uniti, culmine della civiltà di massa dell’ultimo secolo, e attraverso il cinema; zombie è il nome che caratterizza «l’uomo come essere sociale, come essere collettivo». La minaccia non sono più gli alieni degli Anni Cinquanta, incarnazione dei comunisti, pericolo mortale per la democrazia, ma gli esclusi dal Sistema. Mentre Tani vede nel popolo dei morti, che avanzano implacabili, la figura dell’uomo medio americano decerebrato dall’uso del cellulare (cita Cell di Stephen King), Ronchi vi scorge invece la manifestazione dei disperati che premono ai confini dell’Occidente: i latinoamericani che sfidano i muri sorti tra Usa e Messico, i migranti del Mediterraneo, i rifiuti umani che la globalizzazione, descritta da Baumann in Vite di scarto (Laterza), produce senza sosta. La loro è una vita senza esistenza: vita che non è vita senza tuttavia essere neppure morti.
Homo consumens
Nel suo libro il filosofo oscilla tra questa definizione degli zombie e quella dei morti-viventi come consumatori astratti: il fine del consumo è infatti il consumo stesso, pura pulsione destinata per definizione a non restare soddisfatta pena la fine del consumo medesimo. Cannibali insaziabili, la massa degli zombie avanza inarrestabile nei film di Romero, e i buoni hanno la possibilità di salvarsi solo spappolando loro la testa, distruggendo il loro cervello da rettili. Non sarà troppo tardi? Non siamo già stati trasformati in consumatori-zombie? I due autori non lo dicono; ci fanno tuttavia capire che una piccola pattuglia di salvati ci sarà sempre, anche se nessuno di noi è davvero sicuro di appartenervi.