Corriere della Sera, 12 agosto 2015
Meglio la morte del disonore. Così, sulla spiaggia di Dubai, un padre lascia annegare la figlia in nome della sharia. Ha impiegato tutte le sue forze per fermare i soccorritori, i bagnini che volevano salvarla mentre lei gridava aiuto. Non voleva che mani maschili toccassero la sua fanciulla
Non si capisce quale sia quella legge divina, quel versetto coranico che possa mai soffocare in un padre, sia pure musulmano devoto, l’impulso naturale (e primario) di salvare la figlia dalla morte sicura. Eppure qualcuno pensa che davvero esista un dio (minuscolo) tanto crudele da imporre senza se e senza ma il rispetto del suo galateo religioso costi quel che costi, anche la vita. Persino la vita della propria creatura. È il caso di un padre «asiatico», non meglio identificato, che su una spiaggia di Dubai, mentre la figlia ventenne, travolta dalle onde, chiedeva aiuto, ha impiegato tutte le sue forze per fermare i soccorritori: «Preferisco lasciarla annegare purché non venga disonorata».
Il «disonore» sarebbe, per la sharia (o per una delle sue interpretazioni estreme o allucinate), il contatto di una fanciulla con mani maschili. Non mani offensive o malintenzionate, ma mani e braccia salvifiche. Dunque, i bagnini non ce la fanno ad opporsi alla violenza di quell’energumeno invasato, la ragazza boccheggia, affoga, muore e il padre continua a vivere la sua vita ritenendosi beatamente in grazia di Allah e in perfetta sintonia con la propria coscienza, sia pure con il disturbo di finire in carcere e di venire processato per avere ostacolato il soccorso.
Il racconto di quella mattina è stato consegnato al quotidiano Emirates 24/7 dal colonnello Ahmed Burqibah, vicedirettore del dipartimento di polizia locale, che ha ricordato le urla della ragazza mentre quel padre «alto e forte» ingaggiava la sua battaglia forsennata a difesa non della figlia ma del proprio fanatismo sordo. Una mattinata come le altre in una ricca spiaggia turistica della città, dove le onde hanno travolto, quest’anno, ben 58 bagnanti. Burqibah ricorda quella famiglia, con padre madre e figli, arrivata tra le altre per un picnic sulla sabbia. Poi, nel consueto vociare di bambini, le urla della ragazza in preda al panico, lo scatto degli uomini del soccorso, il balzo del padre, le urla sempre più soffocate fino al silenzio.
È difficile – in genere ma ancor di più in certe condizioni estreme – immaginare, per un uomo, un sentimento più irresistibile dell’amore paterno. E dunque si fatica a pensare che non sia stato lui stesso, il padre, ancora prima dei soccorritori (o con i soccorritori), a lanciarsi in mare per salvare la figlia con le sue mani sante e pure, piuttosto che farsene il giustiziere. È difficile, per un padre degno di questo nome, immaginare che qualcosa possa superare quell’impulso naturale di protezione. Il passo dal fondamentalismo alla barbarie è breve. Idem quello che dalla barbarie porta alla follia.
La follia è non cedere, nemmeno per un istante, al dubbio che la vita di tuo figlio valga più di tutto: rimanere accecati da una visione tanto assoluta mentre la sua voce ti implora aiuto: identificarti con il tuo dio al punto da ritenerti in diritto (o in dovere) di condannare a morte tuo figlio pensando che la morte possa giovargli più della vita. E confondere una mano d’aiuto con una mano sacrilega, come se le mani fossero tutte uguali, quella che offre la vita uguale a quella che la toglie. Scambiare la tua viltà per eroismo, l’irresponsabilità per redenzione. Il fanatismo, diceva il filosofo, consiste nel raddoppiare gli sforzi quando si è dimenticato lo scopo.