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 2015  agosto 12 Mercoledì calendario

«Sono sionista e amo i nostri due Paesi». Intervista a Fiamma Nirenstein, giornalista ed ex parlamentare nominata da Netanyahu ambasciatore d’Israele. «Da quando sono immigrata nel 2013 faccio parte degli italkim, gli ebrei italiani che hanno scelto di vivere in Israele, e questo è un risultato anche per loro. L’Italia è un’eccezione in Europa per l’impegno contro l’antisemitismo»

Inizia al numero 9 di Rabin Boulevard il primo giorno di Fiamma Nirenstein dopo la designazione ad ambasciatrice a Roma da parte del premier israeliano Benjamin Netanyahu. Sono passate da poco le 10 e al ministero degli Esteri entra nelle vesti di diplomatico in pectore. «È l’inizio di una nuova fase della mia vita – dice, tradendo una certa emozione – nella quale mi guideranno, come sempre, l’amore per Israele e per l’Italia». Superata la soglia del dicastero guidato da Netanyahu, che è anche titolare degli Esteri, la aspettano gli incontri di presentazione con funzionari e commissioni che dovranno curare il processo di conferma della designazione così come i briefing necessari in vista dell’arrivo a Roma, al momento in programma per l’estate 2016. «Corono il sogno di una vita ma questo è soprattutto il momento di studiare – dice – ci sono cose da apprendere, persone da conoscere, realtà da comprendere».
Il passato
Dopo aver raccontato Israele come reporter, parlamentare e scrittrice italiana Nirenstein affronta la sfida della diplomazia partendo dalla sua identità: «Da quando sono immigrata nel 2013 faccio parte degli italkim, gli ebrei italiani che hanno scelto di vivere in Israele, e questo è un risultato anche per loro». Nel segno dell’eredità di personaggi come il romano Enzo Sereni, caduto con la divisa della Brigata Ebraica nella lotta contro i nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale, e di Guido de Angelis, l’agricoltore toscano che sviluppò nei kibbutz di Revivim nel deserto del Negev la coltivazione a goccia consentendo di far nascere fiori e pomodori fra le dune. Se Avi Pazner, ex portavoce dei premier Shamir e Sharon nonché ex ambasciatore a Roma, parla di «designazione importante» è proprio per sottolineare il valore che ha nel cammino dell’integrazione degli «italkim», una componente del tessuto nazionale che ha colto molti successi nelle professioni ma finora ha avuto un ruolo limitato nella vita pubblica della nuova patria. All’uscita dal ministero, quando sono oramai le 15, Fiamma Nirenstein tiene a sottolineare che l’«ambasciatore in carica a Roma è ancora Naor Gilon» e che «da lui come dagli altri predecessori ho molto da apprendere».
La missione
E guarda ad una missione che ritiene cruciale per rafforzare i delicati rapporti fra Unione europea e Israele. Lo spiega così: «L’Italia è un’eccezione in Europa per l’impegno che la distingue contro l’antisemitismo e ciò è alla base di una relazione unica con Israele, in una cornice Ue invece più difficile, dove in altri Paesi la situazione è assai diversa». Ciò significa che «l’Italia è un modello per l’Europa» si «potrà fare molto assieme». È un linguaggio che «guarda al futuro» come ripete ricordando quanto detto dal premier Matteo Renzi nel recente intervento alla Knesset. «È stata una visita importante come importante è il contributo che Renzi oggi, e Berlusconi prima di lui, hanno dato alla creazione dell’eccezione italiana in Europa» sottolinea con la grinta che la distingue, parlando di «un legame privilegiato fra i due Paesi» che rivendica di aver contribuito a costruire nelle vesti di vicepresidente della commissione Esteri della Camera.
Gli scettici
C’è chi critica la sua designazione sui social network lamentando il rischio di ambiguità e sovrapposizioni fra identità italiana, ebraica e israeliana ma Fiamma Nirenstein parla una lingua diversa: «Amo entrambi i Paesi, sono e resto fiorentina come sono sempre stata sionista perché il sionismo è una conquista del genere umano contro la stagione delle persecuzioni a cui la mia famiglia ha pagato un prezzo alto».
Se Arrigo Levi, uno dei maestri del giornalismo italiano già volontario nella guerra di Indipendenza del 1948, ha scritto il libro «Un Paese non basta», Nirenstein porta tale convinzione alle estreme conseguenze: entrare da ambasciatrice nella sede di Via Mercati sentendosi protagonista «di due civiltà che hanno contribuito assieme, come nessun altra, a creare il nostro mondo».