Corriere della Sera, 12 agosto 2015
Il Giappone ha riacceso il nucleare. Il reattore della centrale di Sendai è tornato a funzionare. Ma la gente non ha dimenticato Fukushima, ha paura e scende in piazza. Tra i manifestanti anche l’ex primo ministro Naoto Kan: «I disastri sono imprevedibili. Per questo accadono. E in ogni caso non tutte le possibili precauzioni sono state prese, qui, per evitare simili incidenti». Ma secondo il governo è un’energia indispensabile
È bastato un semplice gesto di un operatore, un bottone schiacciato e una leva spostata. Forse, ma non è detto, un po’ di trepidazione tra i presenti.
Da ieri, il Giappone è di nuovo un Paese produttore di energia nucleare. Per la prima volta dopo lo stop imposto all’indomani del disastro di Fukushima, nel 2011, il governo ha autorizzato l’accensione di un reattore della centrale di Sendai, nell’estremo Sud del Paese, a oltre mille chilometri da Tokyo. Venerdì, conclusa la fase iniziale, l’impianto sarà operativo e, entro la fine del mese, l’energia elettrica entrerà nel circuito commerciale – mentre a settembre è previsto il riavvio del secondo reattore. Per la verità, per un breve periodo anche la centrale di Ohi, nel Giappone centrale, aveva ripreso la produzione di energia, nel 2012. Ma il reattore era stato subito fermato in previsione di una revisione delle procedure di sicurezza che è stata da poco completata in senso molto restrittivo: solo le centrali che ne rispetteranno le regole potranno ripartire e, sui 54 reattori presenti nell’arcipelago, pochi oggi (si calcola non più di una trentina) ne avrebbero la possibilità.
Le nuove disposizioni di sicurezza non hanno tuttavia calmato le preoccupazioni dell’opinione pubblica nipponica che, secondo i sondaggi, sarebbe per la maggior parte contraria all’energia nucleare, fonte che fino al 2011 assicurava il 30% del fabbisogno nazionale. Di fonte ai cancelli della centrale di Sendai, sin da lunedì si sono tenute manifestazioni contro la riapertura. Persino l’ex primo ministro Naoto Kan, al governo durante la tragedia del terremoto-tsunami dell’11 marzo 2011 – 18 mila vittime nel Nordest del Paese e centomila sfollati (molti per sempre) dall’area di Fukushima invasa dalle radiazioni – era in prima fila a scandire slogan contro il nucleare. «I disastri sono imprevedibili – ha tuonato Naoto Kan —. Per questo accadono. E in ogni caso non tutte le possibili precauzioni sono state prese, qui, per evitare simili incidenti».
Ma l’energia nucleare, gli ha fatto eco il ministro dell’Industria Yoichi Miyazawa, è «indispensabile» al Giappone, assicurando che a Sendai sono state rispettate le nuove, stringenti norme sulla sicurezza. «È impensabile riuscire a diminuire le emissioni di anidride carbonica, tenere bassi i costi dell’energia e contemporaneamente lasciare chiuse le centrali nucleari: è un’illusione. Spero di ottenere a questo proposito la comprensione dell’opinione pubblica».
Vero è che dalla chiusura forzata di tutte le centrali giapponesi, Tokyo ha dovuto compensare la diminuzione nella produzione di elettricità dal nucleare incrementando quella da combustibili fossili, l’idroelettrica e le energie alternative (come l’eolica e solare). I costi si sono ovviamente innalzati. Per non parlare delle scorte di plutonio rimaste inutilizzate (sufficienti, in teoria a produrre 40 ordigni) che andrebbero «bruciate» per ragioni di sicurezza. E Shinzo Abe, premier nazionalista al potere dall’inverno 2012, ha chiarito sin dall’inizio la sua posizione, ribaltando le promesse del suo predecessore e impegnandosi a recuperare la produzione dal nucleare fino a raggiungere un quinto del fabbisogno entro il 2030.
Per farlo, e per vincere le resistenze di chi, all’indomani di Fukushima, teme – in un Paese che si adagia sul bordo di una faglia altamente instabile – nuovi incidenti causati da terremoti-tsunami impossibili da prevedere, Abe ha ordinato di rivedere i principi di sicurezza, con norme che i gestori delle centrali devono rigorosamente rispettare. L’Autorità sul nucleare ora impone test severi per individuare eventuali punti critici in caso di terremoto; le difese anti-tsunami devono essere costruite ex novo; e ogni impianto deve dotarsi di un centro di controllo remoto, identico al principale, in modo da poter arrestare in sicurezza i reattori quando le circostanze impongono l’evacuazione della centrale.
Sarebbero bastate queste regole per evitare la devastazione di Fukushima? I critici non ne sono convinti: la centrale invasa dal mare quattro anni fa era protetta da un muro anti tsunami. Soltanto che era stato progettato per onde non più alta di sei metri. La marea provocata dal terribile terremoto del Tohoku aveva superato i dieci metri, rendendo inutili le protezioni. Ed è questo il punto: la natura è capace di fenomeni di dimensioni inimmaginabili, senza preavviso. Chi può garantire un futuro privo di analoghi pericoli?