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 2015  agosto 11 Martedì calendario

L’Unione Europea è ormai stanca dell’oltranzismo di Schaeuble & Co. Non passa l’ipotesi tedesca di far emettere ad Atene titoli a 40 anni legati al Pil per convincere l’Fmi. Intanto l’istituto di ricerca tedesco Leibniz-Iwh, evidentemente indipendente, ha calcolato che la Germania dalla crisi del debito e dal ribasso dei tassi sui Bund ha guadagnato ben 100 miliardi

La conclusione sul filo di lana della trattativa greca porta con sé un’inattesa doppia sconfitta per Berlino. Da un lato, la Germania, il Paese che l’aveva voluto nell’operazione fin dall’inizio per la sua esperienza nei prestiti condizionati e per allargare la platea dei finanziatori, non è riuscita a tenere a bordo l’Fmi. Ma soprattutto, quest’ultima concitata fase del negoziato ha portato a galla l’irritazione di cui non si fa più mistero negli ambienti della Commissione per le continue fughe in avanti del pur carismatico ministro Schaeuble.
Dopo aver spinto per la Grexit, fa ventilare idee come un supercomitato di pochi grandi che assuma il governo dell’Europa, un superministro ovviamente di marca tedesca che prenda le redini dell’economia, ultimamente anche della sottrazione alla commissione delle facoltà di arbitro delle controversie per presunti conflitti d’interessi.
È troppo, e in quest’occasione sono emerse tutte le tensioni. Come se non bastasse, l’istituto di ricerca tedesco Leibniz-Iwh, evidentemente indipendente, ha calcolato che la Germania dalla crisi del debito, e dal ribasso dei tassi sui Bund dovuto alla “fuga verso la qualità”, ha guadagnato ben 100 miliardi.
A tenere l’Fmi all’interno del terzo bailout, la Germania ci ha provato fino alla fine. In extremis per esempio ha avanzata un’ipotesi: per gli 86 miliardi anziché normali titoli di credito emettiamo titoli legati alla crescita. Quarantennali, con un minore impatto sull’onere complessivo, cominceranno a produrre interessi solo quando la Grecia tornerà in positivo.
Il tasso allora sarà il doppio dell’aumento del Pil, con un tetto nel caso di crescita cospicua. Si chiamano “Gnp-linked securities” e sono più simili ad azioni che ad obbligazioni: coinvolgono di più i Paesi dell’euro “azionisti” della Grecia nel risanamento di Atene.
Qualcosa di simile fu organizzato proprio dall’Fmi per l’Argentina nel 2005, e per la stessa Grecia nel precedente “reprofiling” del debito nel 2012. Ma con una differenza sostanziale: il tasso veniva fissato comunque, sulla base di proiezioni di crescita del Paese. Senonché era previsto che la Grecia sarebbe cresciuta nel 2015 del 2,9% (attuale: -2,5%). Ma la proposta non è passata anche perché, come accusa Schaeuble, non c’ è stato il tempo per coordinarla (forse si sarebbe trovato in presenza di rapporti più distesi all’interno).
«Quanto sarà l’ ammontare da pagare per la fase uno, è questione che riguarda l’ Europa e la Grecia. Noi arriveremo semmai nella fase due», ha dichiarato come fine delle trasmissioni il rappresentante dell’Fmi nella Troika. Il Fondo si è limitato a una consulenza tecnica: in questa veste tra l’ altro ha calcolato che di miliardi ne servirebbero non più 86 ma 90. Quanto alla partecipazione, a nulla sono valse le pressioni, oltre che della Germania, dell’ amministrazione Obama.
Christine Lagarde è irremovibile: il debito greco sarà presto insostenibile e noi non prestiamo denaro a chi ha un debito insostenibile. Bisogna allungare le scadenze e ridurre i tassi: sennò si alimenta, dice l’Fmi, una macchina infernale che gira a vuoto e rende la situazione irresolubile.