la Repubblica, 11 agosto 2015
La figlia del soldato nazista che cerca la mamma da 70 anni. Nacque nel 1945 dalla relazione tra un militare tedesco e un’italiana che venne allontanata subito dopo il parto. Ora ha ritrovato la madre in Emilia
Un calendario che, di colpo, torna indietro di 70 anni. Aprile 1945, i partigiani in piazza, tedeschi in fuga che annegano attraversando il Po. Ragazze che erano state alle feste dei tedeschi rasate a zero e insultate. In quei giorni una donna – la chiameremo Olga – torna dalla Germania dove era andata volontaria con un segreto pesante: ha amato un soldato tedesco, ha avuto una figlia che le è stata portata via una settimana dopo la nascita, il 25 ottobre 1944 a Heidelberg. Sabato 8 luglio 2015. Margot Bachmann, la figlia di Olga, si presenta in una casa di Novellara, assieme a un figlio e un nipote. “Mamma, sono qui, finalmente. Solo un anno fa ho saputo che eri ancora viva. Ti ho cercato tanto”. “Io ho sempre pensato che tu fossi morta”. Abbracci, parole scambiate tramite interpreti. Solo Olga, 92 anni, non piange e il nipote tedesco quasi la sgrida. “Nonna, io piango e tu riesci a tenere gli occhi asciutti”. “Vedi, io piango da settant’anni. E sempre di nascosto”. Questa sembra una storia a lieto fine ma è un salto nel passato che ricorda giorni di disperazione. L’incontro è stato reso possibile dal Tracing Service (Its) centro tedesco di documentazione, informazione e ricerca sulla persecuzione nazista e dal Restoring Family Link della Croce rossa italiana. Ma solo la figlia Margot ha deciso di raccontare a tutti l’incontro con la madre. L’anziana donna, invece, ha pregato tutti di non fare il suo nome. Ha il terrore di tornare a quei giorni, quando le ragazze e le donne che avevano collaborato con i nazisti e i fascisti venivano “punite” con forbici e schiaffi. «Rispetto il silenzio di questa madre», dice Elena Carletti, 40 anni, sindaco di Novellara. «Qui nessuno ha dimenticato. Anche la mia generazione conosce i nomi di chi, durante la guerra, stava da una parte e chi dall’altra. Saputo dell’incontro, in paese c’è stato un po’ di gossip, con la caccia al nome. Ma subito si è capito che il silenzio è la cosa più importante, per meditare su storie che hanno ancora un peso molto grande in tante famiglie». La lettera della figlia Margot viene spedita a Novellara il 17 luglio di quest’anno. “Per tutta la vita ho chiesto di te alla mia famiglia senza ottenere alcuna risposta… Per poterti riabbracciare vorrei venirti a trovare. Sono immensamente felice di poterti finalmente conoscere”. “Margot ha iniziato a cercare la mamma – racconta Laura Bastianetto, portavoce della Croce rossa italiana – un anno fa, quando è morto quel padre che l’aveva adottata – era già sposato con figli – e le aveva sempre negato notizie sulla vera madre. L’incontro è stato commovente. Un paio d’ore sabato pomeriggio, un altro incontro domenica mattina. Un bicchiere di spumante e poi l’impegno di Margot a tornare. La madre aveva conosciuto il militare tedesco in Italia e per lui è andata a lavorare in una fabbrica tedesca. La storia è un po’ confusa, ma sembra che il soldato tedesco sia tornato a Novellara anche dopo la guerra, pensando che tutto fosse finito. Ci sarebbe stato anche un incontro. “Un giorno – ha raccontato l’anziana donna alla figlia – uno del paese mi ha detto che i partigiani avevano ucciso il mio moroso. Per questo non l’ho più cercato. Credevo che anche la bambina fosse morta di malattia o sotto i bombardamenti alleati”.
In piazza dell’Unità d’Italia ci sono grandi fette di cocomero (di plastica) che annunciano l’elezione di “Miss anguria, la regina della bassa”. Ma oggi si parla d’altro, sotto i portici. «Gli anziani – dice Dilva Daoli, classe 1920, staffetta partigiana – raccontano ai giovani che vogliono ascoltarli cosa successe in quei giorni. Io c’ero, ho visto le donne rasate a zero». Incontri persone come Dilva Daoli e capisci perché, dopo il disastro della guerra, l’Italia sia riuscita a sollevarsi. «Io sono andata a fermare i partigiani più agitati, che stavano tagliando i capelli alle ragazze che con i tedeschi e i fascisti avevano suonato, ballato, cenato e poi passato la notte. Ho detto loro di fermarsi, perché il problema non erano i riccioli ma il cervello. Poverette, non capivano niente. E si vendevano per niente. Io e le altre del Gruppo difesa donne avevano anche incontrato alcune di queste ragazze. “I tedeschi sono invasori – spiegavamo – e mangiano in un giorno il maiale che basta a una famiglia per un anno”. Con i tedeschi le più spudorate si facevano vedere anche in piazza. Ma noi donne avevamo problemi anche con i nostri compagni partigiani. Erano uomini che volevano una donna di casa, di letto, di servizio e di silenzio. Taci tu che sei donna: l’abbiamo sentito tante volte anche dopo la Liberazione. Ma piano piano siamo riuscite a uscire dal quel medioevo».
Furono una ventina, le donne rasate per oltraggio. «Il dopoguerra non è stato facile. C’era gioia per la libertà, c’era il dolore per chi aveva perso la vita». Ci sono 104 nomi, sulle lapidi del paese dei Nomadi. «Ricordo il canto dei fascisti. “Avversari e traditori / ad uno ad uno sterminerem”. Povera gente. Erano stupidi come l’erba gramigna e cattivi. Mio fratello Mario, classe 1901, fu ucciso a botte già nel 1922 perché era militare e gli avevano trovato l’Ordine nuovo di Antonio Gramsci in tasca. Dopo la Liberazione, il custode del Casino di Sotto, dove c’era il comando tedesco, ci disse di scavare nel letamaio. C’erano pezzi di antifascisti e di partigiani».
Non sarebbe difficile dare un vero nome a Olga. «Non è che siamo molte, qui a Novellara, con più di novant’anni. Ma a cosa servirebbe?». «Questo incontro fra madre e figlia – dice il sindaco – ci ricorda un pezzo di storia complicata. Ci deve fare meditare. Possibilmente lontano dai riflettori».