il Fatto Quotidiano, 11 agosto 2015
Il dottor Ferrari, il “Mito” del doping, è tornato a colpire. Il medico dei ciclisti rischia il rinvio a giudizio: avrebbe ceduto sostanze a un campione di Biathlon. Solo l’ultimo episodio oscuro per un uomo capace di mettere a punto un sistema di dopaggio così efficace e sofisticato da consentire ad Armstrong di vincere sette Tour consecutivi (ora cancellati) e a ronzini tipo Scarponi di diventare, all’improvviso, vie di mezzo tra Gaul e Indurain
Trentuno anni fa, nel 1984, uno dei miti dello sport italiano, Francesco Moser, riusciva nell’impresa di battere, a 33 anni suonati, il record dell’ora di Merckx a Città del Messico e poi, di lì a poco, di vincere il Giro d’Italia togliendo la maglia rosa a Fignon nell’ultima tappa, a cronometro, quella che si concludeva all’Arena di Verona. Trionfi che fecero impazzire gli italiani e sui quali, oggi, sarebbe il caso di stendere un velo pietoso: perché se vi capitasse di sfogliare le annate dei quotidiani dell’epoca, nelle foto di Moser in trionfo trovereste sempre, sullo sfondo, il profilo immancabile di un ometto magro, occhialuto, scuro di carnagione, quasi sempre di nero vestito.
L’uomo si chiama Michele Ferrari: e altri non è che il “dottore” (meglio noto come “il Mito” o “Mister 10%”, dalla percentuale sui guadagni chiesta ai suoi assistiti) capace di mettere a punto un sistema di dopaggio così efficace e sofisticato da consentire ad Armstrong di vincere sette Tour consecutivi (ora cancellati) e a ronzini tipo Scarponi di diventare, all’improvviso, vie di mezzo tra Gaul e Indurain. In pista da una vita, la notizia è che 31 anni dopo aver guidato Moser alla conquista del record dell’ora e del Giro d’Italia e 7 anni dopo aver lanciato Schwazer alla conquista dell’oro olimpico a Pechino, la Procura di Bolzano sta per chiedere il rinvio a giudizio Mister 10% “per aver posto abusivamente in commercio variabili quantitativi di farmaci quali eritropoietina con posologia da 2000 U.I. attraverso canali diversi dalle farmacie aperte al pubblico (…), per aver somministrato o comunque favorito l’utilizzo di tali farmaci (…), per aver messo abusivamente in commercio sostanze dopanti attraverso una struttura organizzativa costituita dal predisporre il proprio camper quale studio medico itinerante e punto di incontro con vari atleti e mezzo di trasporto delle sostanze”. Il tutto con l’aggravante dell’associazione con altri soggetti e in continuità del reato.
Era già stato processato, a dire il vero, il dr. Ferrari: a Bologna, nel 2004, e condannato a un anno per frode sportiva collegata al doping farmacologico ed esercizio abusivo della professione di farmacista, ma poi assolto in Appello nel 2006 per “intervenuta prescrizione”. “Mi ha svuotato la farmacia”, disse in un’intercettazione il farmacista bolognese (condannato) Massimo Guandalini. Sorta di Dr. Mabuse dello sport italiano, da anni scorrazza per l’Europa con il suo camper degli orrori da cui scendono e salgono atleti a centinaia: roba che se l’avesse saputo Spielberg, chissà che capolavoro ci avrebbe regalato, altro che quella favoletta di Duel.
Una Guida Michelin degli approdi prediletti del Dr. Mabuse non esiste, ma i clienti – corridori di tutte le nazionalità – ne conoscono le fermate a memoria: dal casello di Rioveggio a Silvaplana nei Grigioni, dalle Canarie a Monzuno nell’Appennino bolognese. Proprio a Monzuno, il 27 settembre 2010, grazie a una cimice nascosta dalla Procura di Padova nel camper degli orrori viene registrato un colloquio tra “il Mito” e il corridore Michele Scarponi. “Potevo vincere il Giro”, si rammarica Scarponi (4° classificato a 2’50” da Basso); “Certo – gli risponde Mabuse – se tu avessi avuto una sacca di sangue, te la saresti potuta giocare”; da cui si evince la nostalgia canaglia per i favolosi anni 80 quando l’autoemotrasfusione non era ancora stata messa al bando e i ricambi del (proprio) sangue si facevano con la disinvoltura di un gargarismo. A rischio di finire al Creatore, ma qui siamo alle quisquilie.
Persino Moggi al Dr. Mabuse fa una pippa. “Michele Ferrari – scrivono gli inquirenti – ha posto in essere una serie di stratagemmi (schede straniere, luoghi d’incontro inusuali, appuntamenti concordati a voce) per seguire occultamente, di fatto come medico di squadra, ciclisti di team come Astana, RadioShack e altri ancora (…) e ha posto al seguito delle due citate squadre il figlio Stefano che materialmente effettua test ed esami clinici in vece del padre”. Eh già, perché quella del “Mito” è una famiglia unita: il figlio Stefano guida il camper, maneggia provette ed è sempre reperibile mentre la figlia Sara, quella che papà Michele fu trovato a spingere in strada, in una gara di triathlon a Lavarone, anni fa, facendola squalificare, giura agli inquirenti che non è vero che il babbo incontra e segue il ciclista paralimpico Macchi, bronzo ad Atene 2004, per migliorarne i risultati, ma è lei che è in contatto con l’atleta per via di una tesi in scienze motorie. Già, come no.
Era, Michele Ferrari, l’allievo prediletto del prof. Conconi che col tacito assenso del Coni – e di Carraro presidente – mise a punto la vergognosa “Operazione-Doping di Stato” che ci portò per anni – come il pm Soprani scrisse – a trionfi sportivi gonfiati come le venti medaglie ai Giochi di Lillehammer, nel 94, con l’ematocrito dei nostri atleti, a cominciare dalla Di Centa, impazzito a livelli di 54 e passa. Per decenni, indisturbato, ne ha combinate più di Bertoldo. Ora qualcuno ha deciso di chiedergliene conto. Come diceva il maestro Manzi, non è mai troppo tardi.