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 2015  agosto 10 Lunedì calendario

Piergiorgio Odifreddi ci guida tra i misteri dello Yucatán: dal sistema numerico dei Maya al meteorite che portò all’attuale assetto della vita sulla Terra. Sessantasei milioni di anni fa la catastrofica esplosione pari a 12 miliardi di bombe atomiche che cambiò il mondo

Il Golfo del Messico è separato dal Mar dei Caraibi da una tenaglia che si chiude su Cuba, e le cui due punte sono la Florida e lo Yucatán. Quest’ultimo è una penisola suddivisa fra il Messico, il Guatemala e il Belize, e fu il centro della grande civiltà maya diffusasi fino all’Honduras e al Salvador, fiorita nel primo millennio della nostra era, appassitasi nella prima metà del secondo e spentasi definitivamente nel 1639, con la conquista spagnola dell’ultima città resistente. I monumenti lasciati dai Maya adornano alcuni tra i più noti e affascinanti siti archeologici del pianeta. A Tikal si ammirano i migliori esempi delle tipiche piramidi a ripidi gradoni, immerse nella giungla.
A Palenque dominano il funerario Tempio delle Iscrizioni e l’imponente complesso del Palazzo. Uxmal si distingue per la singolare Piramide dell’Indovino. A Chichen Itzá si trovano l’elegante Castello e la misteriosa cupola a forma di Lumaca. A Copán si incontrano le più belle steli incise nella caratteristica scrittura geroglifica.
Molte caratteristiche della cultura maya hanno affascinato o lasciato perplesse generazioni di lettori. Prime fra tutte le storie dei cuori strappati alle vittime sacrificali, e gettati ancora palpitanti dalle scale delle piramidi. Ma anche il violento gioco della palla, che si giocava in stadi enormi come quello di Chichen Itzá, e finiva con l’esecuzione dei perdenti. E la mitologia del Popul Vuh, la Bibbia maya recante una versione mesoamericana della mitologia delle origini del mondo. Non è sorprendente che la violenza, lo sport e la religione siano gli aspetti meglio conosciuti della cultura maya, visto che costituiscono gli ingredienti principali dell’intrattenimento mediatico anche della nostra. Per lo stesso motivo, non è sorprendente che si sappia invece molto meno della scienza e della matematica maya. Ad esempio, i Maya usavano un sistema numerico posizionale come il nostro, comprendente anche lo zero, ma basato sull’inusuale base 20 al posto dell’usuale base 10. E ci arrivarono mezzo millennio prima degli Indiani, dai quali lo copiarono prima gli Arabi e poi gli Europei. Il sistema maya richiedeva venti cifre per i numeri da 0 a 19, ed essi ne inventarono due serie. La prima, prosaica e informale, usava soltanto ovvie combinazioni di tre simboli: una conchiglia chiamata xok, “vuoto”, per lo 0, un punto per l’1,e una linea orizzontale per il 5. La seconda, poetica e ufficiale, rappresentava invece le venti cifre con altrettante facce di divinità, esattamente come il nostro sistema rappresenta le dieci cifre del sistema decimale con altrettanti segni differenti.
Quanto al loro calendario, l’anno era suddiviso in 18 mesi di 20 giorni ciascuno, per un totale di 360 giorni annuali, più 5 giorni aggiuntivi senza nome. A ogni potenza della base corrispondevano cicli di anni: rispettivamente di 20, 400, 8000, eccetera. In questo sofisticato sistema venivano registrate progressivamente le date degli eventi, a partire dall’11 agosto del 3114 prima della nostra era, il che ci ha permesso di ricostruire in maniera dettagliata e precisa la storia dei Maya. Se molti turisti affollano le antiche città, vicine al mare come Uxmal, Chichén Itzá e Tulum o sperdute nella giungla come Palenque e Tikal, nessuno sembra però interessarsi al sito archeologico più venerabile della storia, legato a una carneficina a paragone della quale i sacrifici dei Maya non furono che punture di zanzara. Le rovine di questo enorme sito si estendono in una zona circolare di circa novanta chilometri di raggio attorno alla cittadina di Chicxulub, poco a nord di Merida, sulla costa settentrionale dello Yucatán.
È qui che, sessantasei milioni di anni fa, un meteorite di dodici chilometri di diametro, grande come un pianetino, si schiantò al suolo a una velocità di trenta chilometri al secondo, dopo aver attraversato infuocato l’atmosfera. La potenza d’urto fu pari all’esplosione di dodici miliardi (!) di bombe atomiche. L’impatto fu tremendo e provocò un cratere circolare di venti chilometri di profondità e centottanta di diametro, con centro appunto a Chicxulub, rilevato nel 2000 dalla missione STS-99 di topografia radar dello Shuttle.Uno tsunami gigantesco travolse l’isola di Cuba e lasciò tracce ancor oggi rilevabili sulle coste limitrofe, dai Caraibi agli Stati Uniti. I detriti del meteorite oscurarono il Sole e provocarono un inverno nucleare planetario che durò una decina d’anni. Quando poi si depositarono, lasciarono su tutto il globo una sottile sedimentazione con una forte concentrazione di iridio, raro sulla Terra ma comune negli asteroidi. Questo strato di circa un centimetro, scoperto per la prima volta nel1980 a Gubbio dal premio Nobel per la fisica Luis Álvarez, si chiama limite K-T perché separa la stratigrafia del Cretaceo da quella del Terziario.
In realtà ci furono anche altri impatti che risalgono allo stesso periodo: da quello sette volte maggiore che provocò il cratere di Shiva, nell’Oceano Indiano di fronte a Mumbay, ad altri minori in Ucraina e nel Mare del Nord. Tutto fa pensare a un bombardamento della crosta terrestre da parte dei pezzi di un gigantesco asteroide, frantumatosi in maniera analoga alla cometa Shoemaker- Levy 9 caduta su Giove nel 1994. Si pensa che questi eventi catastrofici siano stati le cause, o almeno le concause, della fine dell’era geologica del Cretaceo e dell’estinzione di ben tre quarti (!) delle specie vegetali e animali viventi. L’oscuramento del Sole ostacolò infatti la fotosintesi, e provocò l’estinzione di buona parte delle piante, e di conseguenza degli erbivori puri e dei carnivori che si cibavano di essi. Le piogge acide costituirono un problema aggiuntivo per la sopravvivenza delle piante, dei coralli e dei molluschi.
Dalla catastrofe uscì un mondo completamente diverso. Ad esempio, si estinsero quasi tutti i rettili: sopravvissero solo i coccodrilli, le lucertole, le tartarughe e i serpenti. Scomparvero completamente i dinosauri terrestri, gli pterosauri volanti e i plesiosauri acquatici. Nei mari perirono le specie degli habitat lontani dai fondi marini o dalle coste. Ma non tutto il male vien per nuocere. I sopravvissuti trovarono nuove nicchie e si differenziarono rapidamente, generando una cornucopia di nuove specie. I mammiferi sopravvissero abbastanza bene, anche perché erano notturni e relativamente piccoli, della misura di un topo, e in seguito esplosero nell’enorme varietà che oggi conosciamo. Il che significa che, visitando i siti dello Yucatán, risaliamo con la memoria e l’immaginazione non soltanto ai regni precolombiani scomparsi qualche secolo fa nella catastrofe della Conquista, ma addirittura a quel cruciale momento di svolta della storia del pianeta che è il limite K-T: una specie di forca caudina attraverso cui la storia della vita terrestre ha dovuto passare, per potersi sviluppare in un modo che portasse fino a noi.