il Fatto Quotidiano, 10 agosto 2015
Una chiacchierata con i Litfiba tra aria condizionata che Piero non usa («è una questione politica»), politica che a Ghigo non interessa («abbiamo spesso idee differenti. Ma va bene così»), momenti–topless («A Roma le più belle e abbondanti») e una tournée finita bene. I due si sono riuniti per suonare i pezzi della loro Tetralogia, brani tratti da: El Diablo, Terremoto, Spirito e Mondi Sommersi, tutti degli anni Novanta. E hanno fatto bene perché è stato un successo
Il rock ha le sue liturgie, liturgie maturate nel tempo, da leggenda a realtà, da forma a sostanza, e la forma prende sostanza. Così mai stupirsi se alle 12.32 dell’ennesima giornata assolata, Piero Pelù e Ghigo Renzulli, i Litfiba, rispondono all’unisono con un “ci dispiace per il piccolo ritardo, ma da poco siamo svegli”. A quest’ora? “Siamo rocker…” Giusto, ci mancherebbe.
Cinquantatre anni il primo, sessantadue il secondo, li incontriamo alla fine di una tournée durata mesi nella quale hanno suonato i pezzi della loro “Tetralogia”, ossia brani tratti da: El Diablo, Terremoto, Spirito e Mondi Sommersi, tutti degli anni Novanta. Un successone. Date su date, altre date aggiunte, la richiesta di andare avanti (“invece è giusto fermarsi”), magari un prossimo live con le registrazioni (“in particolare la serata di Roma a luglio è stata incredibile, perfetta”), ospiti-amici durante il percorso (Federico Fiumani a Firenze, Enzo Avitabile a Ercolano), la possibilità di rodare una nuova band (“questi sono forti, menano alla grande”).
Poi la chiacchierata manifesta una piccola crepa climatica: una divergenza sull’importanza dell’aria condizionata nelle nostre vite: “Non la uso, non ci penso proprio”, attacca Piero, “cacchi tuoi, con questo caldo non si può evitare”, risponde Ghigo. “Sì che si può, è una questione politica, e se resisto al 2015, ho vinto per sempre”, “intanto questa notte non hai dormito (Pelù annuisce, non replica, ammette la difficoltà). E per favore non iniziare subito con la politica…”. Ok, meglio parlare di altro, meglio strambare altrove, lontanissimo, sfogliare i giornali e trovare la storia del leone Cecil, ucciso in Zimbabwe da un imbecille dal sorriso bianco. “Ma cosa è successo?” domanda Ghigo. Pelù risponde e riassume la vicenda del leone trucidato e decapitato dal dentista statunitense. “Che schifo! – attacca Renzulli – che vergogna. Sono anche iscritto a Greenpeace, tempo fa ho letto una frase nella quale domandavano se fa più paura la tigre o l’estinzione della tigre…” Silenzio. “Se c’è qualcosa che è in via d’estinzione è l’opposizione”, sentenzia Pelù.
E tu Ghigo, con la politica? “Non mi interessa come a Piero, anzi abbiamo spesso idee differenti: lui è molto impegnato, io no e in alcune occasioni avrei manifestato le sue convinzioni in maniera differente. Ma ci conosciamo da una vita, va bene così”. “Sì, e poi non mi ha mai fermato nessuno, neanche mia madre”, la replica del cantante. Si guardano, e ridono, quindi amen, i tempi delle liti, delle incomprensioni, dell’addio, sono un ricordo, così come la canzone di Elio e le storie tese che li invitava alla riconciliazione. Insieme sembrano, o sono, una coppia rodata, sono come le migliori grappe, dove si taglia testa e coda per mantenere il cuore del distillato, quindi si plana sulle incomprensioni, si accettano i difetti, si anticipano le risposte dell’altro.
Dopo trenta e passa anni, si conoscono, e non poco. “Ma quali discussioni… – continua Pelù – Ci vedi? Oggi siamo altro, oggi ci stiamo anche godendo questo tour, siamo riusciti a portare in giro per l’Italia, a suonare canzoni di album che hanno venduto molto, ma che non sono mai stati primi in classifica. Abbiamo riarrangiato i pezzi, modernizzati ma senza stravolgerli come capita a Bob Dylan o De Gregori. Sono ancora loro, ancor più belli, abbiamo recuperato canzoni che secondo logiche di un tempo sarebbero state incasellate come ‘B side’, e invece le cantano tutti”. Con piccoli inconvenienti: “Sì, in alcuni casi, prima di preparare la tournée, non mi ricordavo gli accordi – ammette Ghigo – Ad esempio con Africa. Però che meraviglia.
Non capisco quei colleghi che lamentano le fatiche di un tour, io starei sempre in giro. Vuoi sapere un altro assunto?”. Prego. “Non esiste una data, una serata uguale all’altra, è impossibile, diventano uguali solo se non ami la musica, solo se sali sul palco come una macchinetta, un robot; solo se non hai voglia di farti contaminare dall’energia del pubblico. Contaminare e poi restituire: è il massimo. E alla mia età mi diverto anche più di prima, perché so”. Loro sanno. Sanno bene chi sono, chi hanno davanti. “Questo tour è stato un grande momento liturgico, anzianzi l’è turgido – gioco di parole made in Pelù – Ogni sera una festa, alcuni fan li conosciamo, sono i ‘transennisti’, quelli perennemente in prima fila, attaccati alle transenne.
E poi durante Regina di cuori o Gioconda, ho chiesto alle nostre fan di renderci partecipi delle loro bellezze”. Risultato: reggiseni slacciati, seni al vento, “però funziona meglio nelle città, in provincia ho visto fidanzati bloccare le proprie compagne. Ma non è che stiamo tornando un po’ bacchettoni? Negli anni Settanta e poi Ottanta non era questa la situazione, topless a go go. Secondo me con Ratzinger il mondo ha recepito un segnale di restaurazione”. La chiave politica non manca mai.
Altra liturgia, quella cinematografica: sono quarant’anni da Amici miei. Complicità, zingarate, eterna fanciullezza sono protagoniste, così come la città di partenza (e di ritorno) dei Litfiba: Firenze. “Pellicola immancabile, ho il cofanetto – inizia Ghigo – La mia parte preferita? Tutto…” e con Pelù inizia a recitare l’intero film a memoria, dal conte Mascetti e il “rigatino”, alle chiacchierate intorno al biliardo del Necchi, fino agli schiaffi ai treni in partenza. Oggi i finestrini non si tirano più giù.
“Senti, non per parlare di politica, ma la vicenda dei grillini in Sicilia è una figata – ricomincia Pelù –, sono risposte reali, costruire una strada dove ne è crollata una, è una risposta, e con soldi dei finanziamenti. Mi ricorda lo sciopero al contrario di decenni fa. Secondo me stiamo tornando agli anni Cinquanta…”. “Non credo proprio”, risponde Ghigo. “Io penso di si, siamo ai tempi di Scelba”. Alt! Non ricominciate a discutere di politica. “No, tranquillo”, rispondono e scoppiano a ridere. Insieme. Molti cantanti non amano sentire il pubblico cantare. “Sì, alcuni si sentono feriti nell’esecuzione – inizia Pelù – ma sono atteggiamenti da fighetta. Comunque noi teniamo il volume così alto che quando iniziamo li spettiniamo tutti, in altri casi l’intro è dei presenti, con Ghigo che li accompagna, poi entro io”. “E penso sia uno dei momenti più intensi – conclude il chitarrista – Anche perché stare su un palco da trenta e passa anni ti dà il vantaggio di conoscere, di palleggiare con l’ambiente, di capire dove sta andando lo show”. Fine della chiacchierata, è passata l’ora del pranzo, “i veri rocker non guardano l’ora”, anche questo è sacrosanto. Postilla sulla fine della tournée: il momento più bello, memorabile? “Roma”, sì, per il suono, lo avete già detto. “No, pensavamo al momento-topless, le più belle e abbondanti”. Su questo i due sono d’accordo, altro che politica.