La Stampa, 10 agosto 2015
Per Poste Italiane una spedizione con destinazione Piazza Affari. Più attività digitali e bancarie, il gruppo cambia ancora pelle e punta sulla Borsa. Avverrà tra fine ottobre e inizio novembre, e potrebbe rendere allo Stato 4 miliardi. Ma il servizio pubblico della corrispondenza tradizionale è colpito da tagli e chiusure
Quando si parla di Poste Italiane, nessuno rimpiange i «bei tempi andati». Quando le Poste recapitavano soltanto lettere e pacchi, ad esempio nel 1986, l’allora «azienda autonoma» spendeva il 93% delle entrate per pagare gli stipendi di dipendenti quasi tutti assunti perché segnalati dai partiti, perdeva migliaia di miliardi di lire, e per far arrivare una lettera ci volevano quasi 9 giorni. Poi le vecchie PT sono cambiate: sono diventate una banca, poi anche un’assicurazione e una compagnia telefonica. E adesso guadagnano: 435 milioni di euro nel primo semestre 2015. E come deciso dal ministero del Tesoro (azionista al 100% di Poste), oggi arriva in Consob il prospetto che avvia l’iter per la quotazione in Borsa. Avverrà tra fine ottobre e inizio novembre, e potrebbe rendere allo Stato 4 miliardi.
Il futuro? Non le lettere
Un cambiamento notevolissimo. L’attuale vertice dell’azienda – presidente Luisa Todini, ad Francesco Caio – promette che grazie a massicci nuovi investimenti Poste diventerà sempre più digitale, accompagnando l’evoluzione del Paese. Sempre più bancario-assicurativa, e meno legata al poco redditizio «servizio universale» assegnato dallo Stato, ovvero la spedizione delle lettere. Infine, Poste scommette sul boom dell’ecommerce, e dunque sulla remunerativa spedizione dei pacchi. Declinerà invece la normale corrispondenza. Questo prevede infatti il piano delle Poste, così come di fatto approvato dal governo e dall’autorità di vigilanza, l’Agcom.
Il piano dei tagli
Dal 1° ottobre la posta ordinaria rincara da 0,70 a 0,95 centesimi. La posta prioritaria (2 giorni per la consegna, anziché uno) potrebbe costare fino a 3 euro (ancora non c’è la decisione). Parliamo di aumenti oltre il 20%. L’azienda dovrebbe conservare il ricco monopolio (che costa ben 300 milioni allo Stato) della spedizione delle multe e degli atti giudiziari. Prosegue poi il taglio (chiamato «razionalizzazione») degli uffici postali minori. È stato congelato per l’estate, ma si riparte a settembre: è prevista la chiusura di 455 uffici e la riduzione di orario (solo due mattine a settimana) per altri 608. Altri 550 erano stati chiusi nel 2012. In tutto, gli uffici postali scenderanno a circa 13 mila. Infine, in oltre 4.000 Comuni italiani (su 8.000) le Poste potranno consegnare la corrispondenza «a giorni alterni»: invece degli attuali 10 giorni, si scenderà a soli 5 giorni ogni 2 settimane. Una settimana consegneranno lunedì, mercoledì e venerdì; la settimana seguente solo martedì e giovedì. Il piano è già scattato in alcuni Comuni, poi avrà altre due tappe a dicembre 2015 e a febbraio 2017.
Siamo tutti digitali?
Per l’azienda in fondo parliamo di fette modeste della popolazione, circa il 25% degli italiani. E poi ormai siamo tutti digitali. O no? Pare proprio di no, a sentire le proteste di tanti comitati di cittadini infuriati. Non è solo un fatto di campanile (che pure esiste). I Comuni che perderanno (o hanno già perso) ufficio postale e consegna giornaliera sono quelli più poveri. Quelli più isolati. Quelli dove vivono tanti anziani, poco mobili e con poca abitudine alle tecnologie. Sono i Comuni, infine, dove è più probabile che non esista alcun collegamento internet a banda larga, visto che nessuno ha interesse a portarcela. Difficile immaginare che questi piccoli Comuni, che da anni perdono uno dopo l’altro servizi pubblici (ma anche quelli privati, come i negozi) possano sopravvivere e avere un futuro. Esattamente di questo tratta l’«autodramma» del Teatro Povero di Monticchiello recitato in questi giorni dai paesani, gli ultimi 150 rimasti nello splendido borgo in Valdorcia, in provincia di Siena. A Monticchiello la posta chiuderà il 7 settembre.
In attesa dell’Ue
La speranza, stavolta, è l’Europa. La Commissione Ue ha fatto sapere di avere grandi perplessità sul piano Caio. La direttiva europea sui servizi postali, infatti, prevede l’obbligo di recapito per cinque giorni su sette anche nelle zone remote e scarsamente popolate. La posta a giorni alterni è consentita solo per «circostanze o per condizioni geografiche eccezionali». In 14 paesi Ue, ad esempio, riguarda solo l’1% della popolazione. Se l’Italia va avanti, potrebbe arrivare una procedura di infrazione da Bruxelles.