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 2015  agosto 07 Venerdì calendario

Ecco perché Federica Pellegrini dopo dieci anni vince ancora. Non è solo una questione di talento, ha la capacità di reagire alle cadute inevitabili che si presentano lungo una carriera. È passata attraverso la morte del suo mentore, Alberto Castagnetti, nel 2009. Si è saputa rialzare dopo il flop e le polemiche dei Giochi di Londra 2012. E, in questa stagione, ha superato l’ennesimo cambio tecnico, grossi guai fisici e il fallimento ai Mondiali in vasca corta di Doha. Ne è uscita ancora una volta più forte, fino a quando il 4 luglio ha stampato con 1’55” il suo personale col costume in tessuto (il record del mondo di 1’52”98 appartiene all’era gommata)

La forza dei grandi è pure quella di dividere, Federica Pellegrini lo ha sempre fatto e lo sta facendo ancora. Se adesso dici che è la più grande atleta italiana di sempre non ti sbagli, ma naturalmente non ti sbagli neanche se citi Valentina Vezzali, Deborah Compagnoni o Sara Simeoni. Le fazioni in queste ore si scontrano – nelle acque inquinate del web anche con parole violente – ma l’errore è di prospettiva. Non si tratta di sbagliarsi o avere ragione. Il giudizio qui ha a che fare solo con le emozioni. E ognuno, giustamente, ha il diritto di tenersi le sue.
Stabilito questo principio, e se ci concentriamo sulla durata di una carriera e sul «coefficiente di usura» di una disciplina, Federica è comunque un caso unico. Il nuoto è uno sport che consuma. Chi trascorre la propria vita giovane in acqua è spesso una candela che brucia in fretta, passa e va, magari trionfa ma non sempre regge la sfida del tempo. Dieci anni in piscina, insomma, non sono dieci anni sulla terraferma. Eppure Federica è ancora qui, sei volte sul podio mondiale nella stessa gara, un record che solo il grandissimo Ryan Lochte ha saputo eguagliare proprio ieri, a 31 anni, con l’oro nei 200 misti. In Canada il 27 luglio 2005 la Pellegrini neanche 17enne era d’argento tra Solenne Figues e Yu Yang. In Russia mercoledì, nel giorno del suo 27° compleanno, lo era ancora fra Katie Ledecky (18 anni) e Missy Franklin (20), americane che insieme fanno quasi l’eta della regina. Potrebbe bastare, no?
Ma se questo non basta, ecco il resto. Che non è il talento – sul quale non si hanno meriti e che da solo non realizza mai nulla – ma la capacità di reagire alle cadute inevitabili che si presentano lungo una carriera. Federica è passata attraverso la morte del suo mentore, Alberto Castagnetti, nel 2009, subito dopo i trionfi ai Mondiali di Roma. Si è saputa rialzare dopo il flop e le polemiche dei Giochi di Londra 2012. E, in questa stagione, ha superato l’ennesimo cambio tecnico (da Philippe Lucas a Matteo Giunta), grossi guai fisici (con due ernie che l’hanno portata quasi a operarsi alla schiena) e il fallimento ai Mondiali in vasca corta di Doha nel dicembre 2014 che l’ha indotta, con Giunta, a rivedere il programma per Kazan. Ne è uscita ancora una volta più forte, fino a quando il 4 luglio ha stampato con 1’55” il suo personale col costume in tessuto (il record del mondo di 1’52”98 appartiene all’era gommata). A quel punto, ecco nuovi dubbi nell’aria: non sarà troppo in forma, troppo presto? A quanto pare non lo era.
Naturalmente non si sta disegnando qui il profilo di un’eroina. Lei stessa, quando ha descritto le chiavi dell’exploit – «Sacrificio, allenamenti, dolore fisico e psicologico perché le tensioni prima di gare così non sono sane» – ha premesso che sono «le solite per tutti gli atleti». L’unicità di Federica sta semmai nell’averle frequentate e trasformate in energia positiva per un decennio. Ci vuole forza per farcela, e quel po’ di arroganza che tutti i fuoriclasse hanno. La stessa che mercoledì le ha fatto citare «chi non credeva nell’impresa». Si riferiva a coloro, Philippe Lucas in primis, che pensavano che la sua longevità fosse possibile solo con i 400 stile libero. Ancora una volta, si sono sbagliati. Così come, dopo la leadership esercitata ieri in staffetta, si è sbagliato chi pensa che la regina sia una che bada solo a se stessa.
Forse era a loro che Federica ha pensato ieri quando, acceso finalmente il telefono dopo il coprifuoco di mercoledì, ha twittato, dal nome di battaglia @mafaldina88, «Grazie a tutti, Mafaldini e non». Forse ora le guerre col mondo sono finite. Resta solo, fra un anno, quella col cronometro a Rio. Guerra sportiva. L’unica guerra giusta che conosciamo.