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 2015  agosto 07 Venerdì calendario

Rocco Forte, il baronetto che non sopporta i figli di papà. Il suo lo ha mandato a lavorare per due mesi alla reception e nella cucina del Savoy di Milano. L’albergatore di lusso, nominato Sir dalla regina Elisabetta, oggi di hotel ne possiede 10, «ma ne sogno almeno 30. Provo tutto personalmente: dal materasso alla cottura degli spaghetti»

Nel Capodanno del 1994 Rocco Forte, non ancora Sir, è a Barbados con la famiglia. Nella casa di Londra arriva una lettera da Buckingham Palace: Sua Maestà vuole nominare baronetto l’imprenditore italo-britannico che vende esperienze da sogno. «Anche dopo aver ricevuto la notizia abbiamo proseguito la nostra vacanza come se niente fosse. Non bisognava dire nulla a nessuno, perché se svelavo la notizia in anticipo, rischiavo di bruciarmi». C’è parecchio spirito italiano in questo ricordo di Sir Rocco Forte, l’albergatore del lusso nato a Bournemouth, «una contea di villeggiatura upmarket nel sud dell’Inghilterra», figlio di Carmine «Charles» Forte, emigrato dalla provincia di Frosinone in Scozia, a caccia di fortuna. «In Inghilterra mi sento molto italiano, in Italia molto inglese», dice Sir Rocco Forte seduto a un tavolo di Irene, il ristorante aperto con Fulvio Pierangelini nell’Hotel Savoy di Firenze, uno dei magnifici 10 della Rocco Forte Collection. Assaggia pomodori costoluti, spaccati a metà. «Adoro il cibo. E mi irrita mangiare male: casomai rimando indietro il piatto».
Ripartito da zero, dopo che l’impero del padre è stato acquisito con un takeover ostile, oggi ha nel suo portafogli hotel come il Balmoral di Edimburgo e il De Russie di Roma. «Quando decisi di aprirlo mi dissero: “non hai paura di fallire?”. È stato da subito un successo. Quando amministri 1.000 hotel non puoi fare l’albergatore e non sai mai davvero chi lavora per te. Oggi ne ho 10 ma ne sogno almeno 30. Provo tutto personalmente: dal materasso alla cottura degli spaghetti». Da poco il Fondo Strategico gli ha riconosciuto il suo impegno in Italia entrando in società. Anche il Verdura Resort di Sciacca, oasi fiorita tra lungaggini e burocrazie, è un premio alla tenacia. Se gli alberghi sono figli, questo è il prediletto. «In Sicilia gioco tanto a golf, in fondo lo sport è una metafora del business: c’è la determinazione di fare bene e arrivare in fondo». Parlare di lusso, è difficile anche per chi lo vende. «Ma è l’unica cosa capace davvero di muovere l’economia. Mio padre ha avvicinato gli italiani all’idea del 5 stelle. E io voglio restituire all’Italia gli alberghi che si merita. È un Paese che produce e consuma lusso, dalla moda al cibo. Deve riabituarsi a quello dell’ospitalità».
Le 500 galline
Suo padre, morto a 98 anni dopo aver fondato un impero di quasi 1.000 alberghi, gli ha spiegato che il tempo dedicato all’ascolto dei dipendenti è lavoro. «Andavamo molto d’accordo, era un uomo forte e di grande umanità. Non aveva nemici». L’infanzia di Sir Rocco è in salsa italiana. «Nei primi anni ho vissuto a Londra in una casa non molto lussuosa. La domenica mangiavamo i ravioli: mia nonna aveva un negozio di pasta fresca e la prima volta che mio padre ha incontrato mia madre, lei era dietro al bancone».
Il lavoro di Carmine-Charles ingrana: prima un milk-bar a Regent’s Street a Londra, poi gli alberghi. Per il figlio Rocco, nessuno sconto. L’educazione del «giovin imprenditore», prevede molta pratica e una paghetta di 9 sterline a settimana. Tra gli studi nell’istituto benedettino di Downside e l’Università a Oxford, ci sono casse di vino da spostare e uova da montare. «Ho cominciato a lavorare negli alberghi di mio padre a 15 anni: imbottigliavo, facevo maionesi. Una volta ho disossato 500 galline per preparare la suprême de volaille. Anche oggi sono bravo a farlo». Sveglie prima dell’alba e contrattazioni forti. «Ci si alzava alle 3 del mattino, per andare al mercato della carne di Covent Garden: giravo con un compratore di legumi che cercava di darsi un contegno, ma alla fine volavano sempre bestemmie».
Tra i tanti lavori che ha fatto, ha avuto un ruolo in un film: a un provino, per la parte di cameriere, è stato preferito a Michael Caine. «Quando lui, anni dopo, è venuto in un mio hotel mi ha detto: “Ti conosco, sei quello che mi ha soffiato la parte”». È il 1969 quando diventa commercialista e entra nella Forte Plc, succedendo al padre come presidente nel 1992. «Essere suo figlio mi apre ancora molte porte. Abbiamo condiviso esperienze, dormito in tante stanze di albergo, anche brutte. Faccio cucire gli abiti da Richard James, il suo sarto di fiducia a Savile Row, il migliore per i pantaloni. Trovo che le giacche degli italiani siano così strette! Raramente mi guardo allo specchio, non sono vanitoso. Anche se chi vende lusso dovrebbe esserlo».
Una famiglia di donne

Unico figlio maschio, tra cinque sorelle femmine, Rocco Forte collabora da sempre con la sorella Olga Polizzi, raffinata arredatrice dei suoi hotel. «Ho due figlie che lavorano insieme a me e promuovo senza proclami la carriera delle mie dipendenti. Sa una cosa? Detesto il femminismo, perché trovo che sia inutile. Oggi la maggior parte delle battaglie sono vinte».
L’albergatore che in un’altra vita avrebbe fatto l’attore ha trovato moglie alla festa dei suoi 40 anni. «Ci siamo rivisti al mio compleanno. Ma la prima volta che ho incontrato Aliai, aveva 16 anni: era in costume da bagno, non conosceva una parola d’inglese ed aveva 20 anni meno di me. Undici mesi dopo la mia festa, ci siamo sposati». Dal matrimonio sono nati Lydia, Irene e Charles. «Ho un ottimo rapporto con loro, li ho cresciuti con la voglia di fare. Non mi piacciono i figli di papà: Charles ha lavorato per due mesi alla reception e nella cucina del Principe di Savoia a Milano. Non si può davvero insegnare ai figli: loro vedono quello che fai». Come si resiste in coppia per tanti anni? «Con difficoltà, ovviamente: oggi c’è fretta di separarsi. Mi piace sapere che i miei dipendenti hanno una vita privata equilibrata. Noto che si usa l’orribile parola partner, quando si parla di sentimenti: nei Paesi anglosassoni indica un socio in affari».
Alta società
Sir Rocco e Lady Forte sono patroni della London Symphony Orchestra e partecipano ai riti della high society. «Ho incontrato la Regina la prima volta a una battuta di caccia con Lord Phillips: un donna di grande ironia. Sono entusiasta di questa nuova monarchia, che ha resistito all’urto di Diana, ignara delle responsabilità del suo ruolo. Ricordo che gli amici, prima del matrimonio, sconsigliavano a Charles quelle nozze».
La sua giornata inizia alle 7 con un personal trainer: nel 2005 si è classificato secondo all’evento «Iron Man» di Klagenfurt. «Dopo l’allenamento, faccio un bagno, leggo i giornali e alle 9 sono in ufficio». Vivere nel lusso è un concetto individuale. «Per me coincide con accoglienza, alta qualità di servizio. Quando non alloggio nei miei alberghi faccio caso a questi dettagli. Tra gli hotel che amo ci sono il Villa d’Este di Como e il Beverly Hills di Los Angeles, l’hotel che ha creato la stessa Beverly Hills. Soprattutto amo pescare in Islanda: un Paese grande come l’Inghilterra, ma con 350 mila abitanti e una luce fantastica».