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 2015  agosto 07 Venerdì calendario

Quando una figlia non è un miracolo della vita ma un danno da risarcire. Un padre fa causa all’ospedale per un aborto mancato: l’embrione, nonostante il raschiamento, rimase pervicacemente attaccato alla madre. La donna transò con l’istituto e la vicenda si chiuse con il riconoscimento di una somma risarcitoria. Ma ora è lui ha chiedere i soldi perché la nascita indesiderata ha sconvolto «l’esistenza privata e lavorativa». I giudici hanno respinto la sua richiesta. Ora la questione passa alla Cassazione. Chissà cosa ne penserà la figlia, ormai 14enne

Due genitori fanno causa all’ospedale per la figlia indesiderata e, tuttavia, caparbiamente nata. Ora è un’adolescente che probabilmente non sa e, forse, non saprà mai (meglio!) che il suo primo cocciuto atto di ribellione lo ha compiuto quando era un embrione di poche settimane e ha deciso che, a qualunque costo, sarebbe venuta al mondo. Il mondo la accolse nel 2001, secondogenita di una coppia che, all’epoca, viveva in un piccolo Comune dell’Alessandrino. Lui operaio qualificato, lei assunta in un’impresa di pulizie. Complessivamente un reddito che consentiva una vita decorosa a entrambi e al figlio primogenito, abbastanza grande, ma ancora disoccupato.
Arrivo inaspettato
Un arrivo inaspettato della cicogna i due coniugi, entrambi oltre i quarant’anni, non l’avevano messo in conto. La gravidanza fu appurata indirettamente, nel 2000, come conseguenza della diagnosi di un fibroma. All’ospedale di Alessandria, i medici stessi evidenziarono i rischi di condurla a termine e, d’altronde, la coppia altri figli non ne voleva, anche per l’età ritenuta avanzata. L’intervento di raschiamento avvenne, ma l’embrione rimase pervicacemente attaccato alla madre. Quando, tempo dopo, in un altro ospedale, fu confermata la gravidanza in atto, ormai si era alla ventunesima settimana e l’aborto non era più possibile per legge. La bambina nacque allo scoccare dell’ora giusta, ignara del subbuglio che il suo vagito avrebbe creato. Il padre si licenziò per incassare il Tfr, trovò un nuovo lavoro, ma a centinaia di chilometri, tanto che fu necessario trasferire tutta la famiglia, con richieste di prestiti finanziari per far fronte alle spese. Colpa di quell’aborto malriuscito e della nascita non programmata se si era dovuto tirare la cinghia, fare sacrifici, rinunciare ai legittimi svaghi del tempo libero, alle piccole gite nei weekend, alle uscite con gli amici il sabato sera? Secondo i coniugi sì. La donna, difesa dai legali Massimo Grattarola e Stefano Campora, chiese una risarcimento al medico che aveva effettuato il raschiamento non riuscito e all’ospedale di Alessandria, tutelato dall’avvocato Tino Goglino, dove l’intervento era avvenuto; la vicenda si chiuse con una transazione e il riconoscimento di una somma risarcitoria.
Doppia causa 
Passano gli anni, la famiglia, nel frattempo, si è trasferita in Centro Italia per il nuovo lavoro. Nel 2008, però, anche il padre della ragazzina ritiene di aver diritto a un risarcimento perché egli stesso, e non soltanto la moglie, ha subito un danno psicofisico avendo dovuto accettare una nascita indesiderata. Pertanto fa causa all’ospedale per ottenere un «risarcimento dei danni da nascita indesiderata» che, in una famiglia monoreddito, ha comportato ripercussioni «sulla vita di relazione» sconvolgendo «l’esistenza privata e lavorativa come era stata programmata» dai coniugi. Il giudice di primo grado, ad Alessandria, ha respinto la richiesta e altrettanto ha fatto la Corte d’Appello, ritenendo non sia stato provato concretamente che l’uomo volesse davvero che la moglie abortisse. «Tanto è vero che poi la figlia è nata» chiosano i giudici. Ma i legali replicano: «È nata per via dell’errore medico e dei mancati controlli successivi che, dopo, hanno reso impossibile eseguire un aborto entro i tempi consentiti!». Se sia così, lo dovrà spiegare, ora, la Corte di Cassazione. Ma non è forse la cosa più difficile. Più arduo sarà spiegare alla figlia, un giorno o l’altro, che il fatto che lei sia nata, bella e sana, non è stato considerato un miracolo della vita, ma un danno da risarcire.