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 2015  agosto 07 Venerdì calendario

Se non «sarà un Vietnam», «sarà una bomba atomica». Da Calderoli a Bersani, da Mucchetti a Grillo, la politica e il tono guerresco spesso fuori luogo. Soprattutto quando c’è il settantesimo della distruzione di Hiroshima e Nagasaki

Roberto Calderoli ha scelto il giorno sbagliato per proporre la metafora bellica. «Sarà una bomba atomica», ha detto a proposito dei 510 mila emendamenti alla riforma del Senato, e lo ha detto mercoledì di modo che ieri – settantesimo anniversario della distruzione di Hiroshima – i giornali dimostravano l’imbarazzo dei titolisti. Senza la simultaneità, nessuno avrebbe fatto caso alla scelta lessicale visto che ultimamente, in politica, il tono guerresco usa molto. Tanto per dire della serenità del dibattito. Nel Pd, per esempio, da giorni lo scambio di opinioni gira attorno alle idee di Vietnam, vietcong e napalm con accuse incrociate – fra renziani e minoranza – di avere inaugurato la sciagurata serie. Per chi si fosse perso le puntate precedenti, la sinistra Pd ha annunciato «il Vietnam» se il governo non avesse cercato sintonie con opposizioni interne ed esterne; la reazione scandalizzata dei vertici del democratici («incredibile!», ha detto il presidente Matteo Orfini) ha infiammato tutte le sindromi da complotto. «Quando si è a passaggi seri», ha detto il senatore Vannino Chiti, «si inventano campagne, si crea un clima di congiure e agguati». Un altro senatore, Massimo Mucchetti, ha preteso un rigore filologico: «Chi, dove, come e quando ha detto una tale sciocchezza?». Oddìo, i due dovrebbero parlarsi perché Chiti, che pure è un uomo mite, il 6 luglio ha detto alla Repubblica: «Si cerchi l’unità nel Pd e nella maggioranza, puntando anche a una convergenza con le altre forze di opposizione (...) altrimenti il percorso diventa un Vietnam». Così anche Pierluigi Bersani, preoccupato del richiamo al Vietnam come presupposto dell’«uso del napalm» sui dissidenti, avrà ora il quadro più chiaro. 
Fra l’altro il Vietnam è diventato il riferimento preferito di chiunque intenda accreditarsi come opposizione. Il piccolo lord a cinque stelle Luigi Di Maio ha annunciato che «daremo battaglia, sarà un Vietnam» sulla scuola e di nuovo «sarà un Vietnam» sulla terra dei fuochi. «Sarà un Vietnam» anche per la tutela della lingua friulana, minaccia il capogruppo leghista Massimiliano Fedriga, e «sarà un Vietnam», sempre per Fedriga, sulla sanità. Sarà un Vietnam oppure «scateneremo un Vietnam», secondo i propositi di altri leghisti, Cristian Invernizzi a proposito dello Ius soli e Nicola Molteni a proposito degli sconti di pena per il sovraffollamento carcerario. O perlomeno, in tutti questi casi, avrebbe dovuto essere «un Vietnam», perché poi il grosso si è fermato alle parole o a qualche polveroso ostruzionismo. Allora Brunetta diceva «good morning Vietnam», ma un pochino sarà rimasto deluso. E pensare che una volta si trasecolava ai fucili di Umberto Bossi, che svelava di 300 mila bergamaschi (su un milione di tutta la provincia...) pronti a imbracciare il fucile per la secessione. Macché fucili, «faremo lo sciopero fiscale» disse qualche anno dopo il Capo padano, e sarà «una bomba atomica». Proprio come Calderoli. E come Grillo che, alla conquista di Parma con Federico Pizzarotti, esultò: «Ora i parmigiani hanno la bomba atomica». Ma almeno non era l’anniversario di Hiroshima.