Il Sole 24 Ore, 6 agosto 2015
I ricordi di Laura Biagiotti, che quest’anno festeggia 50 anni del suo marchio: «Ho iniziato forse con un pizzico di incoscienza quando avevo solo 22 anni. Guardandomi indietro, mi spavento, quasi, di quanto seriamente e duramente io abbia sempre lavorato»
Non è un caso se Laura Biagiotti, a Milano, sfila sempre al Piccolo Teatro Studio, stagione dopo stagione. E non è un caso se tra i ricordi più vivi che la stilista conserva dei suoi primi viaggi in Germania ci sono quelli legati ai grandi circhi tedeschi. La moda è – anche– spettacolo e Laura Biagiotti, che quest’anno festeggia 50 anni del suo marchio, è stata ed è sia protagonista di questo spettacolo, sia spettatrice e osservatrice dei cambiamenti della società e del sistema moda italiano e non solo. Dice di contemplare, a tratti, il «ritiro dalle scene», passando definitivamente il testimone alla figlia Lavinia. Ma forse non ci crede fino in fondo. O almeno, è sempre pronta per un bis.
Il 2015 è stato un anno di illustri anniversari, a cominciare dai 40 anni del marchio Giorgio Armani. Lei come vive il suo?
Ho compiuto 72 anni due giorni fa (il 4 agosto, per chi legge, ndr), sono un Leone e con gli anni mi sorprendo a citare spesso il mio segno zodiacale...
Si sente una leonessa?
(Ride) Forse... So di aver fatto un percorso eccezionale, iniziato forse con un pizzico di incoscienza quando avevo solo 22 anni, anche grazie all’ispirazione e al sostegno di mia madre Delia, che mi ha trasmesso amore per la moda e spirito imprenditoriale: con la sua sartoria, nel 1964, aveva firmato le prime divise dell’Alitalia. Guardandomi indietro, mi spavento, quasi, di quanto seriamente e duramente io abbia sempre lavorato. Al mio fianco ho avuto mio marito e ora mia figlia Lavinia, vicepresidente del gruppo Biagiotti.
Della sua sfilata in Cina, nel 1988, che ricordi ha?
Bellissimi: avevo sempre avuto una predilezione per il cashmere e la sua storia e per altri filati pregiati come la seta. Con i 150 abiti che sfilarono a Pechino, e che ripercorrevano la mia carriera di stilista, intesi rendere omaggio a materie prime che la Cina produceva da secoli, se non millenni. Ora penso anche che dopo appena un anno ci sarebbero state le proteste di piazza Tiennamen. Il Paese stava cambiando davanti agli occhi spesso ciechi di chi lo governava. Ma gli stranieri e noi italiani in particolare percepivamo un’energia nuova e un’affinità tra i nostri due popoli.
Pochi anni dopo, nel 1995, fu poi la prima stilista italiana a sfilare a Mosca.
Anche quella fu un’esperienza bellissima: è un privilegio trovarsi a osservare e magari partecipare ai cambiamenti di una società.
Pensa che la moda possa avere un ruolo in questi cambiamenti?
Ne sono profondamente convinta. O almeno li può cogliere, interpretare, forse persino aiutare. In Cina ad esempio, nel 1988, si capiva che dopo tanti anni in cui il modo di vestire aveva unito, unificato e allo stesso tempo uniformato donne e uomini, tutti avevano voglia di esprimere la propria individualità. Quale strumento migliore del vestire e quindi della moda? Ricordo di aver visitato tanti mercatini locali e di aver colto un desiderio di femminilità ritrovata e di aver pensato che la mia moda, e quella di tanti altri creatori italiani, avrebbe potuto avere una funzione sociale, in Cina e anche altrove.
La moda di oggi però sembra fatta più di tendenze che di svolte epocali.
Tutto è più veloce, è vero. Internet e i social network hanno accelerato ogni processo, di comunicazione e creativo. Vivo questa rivoluzione con un pizzico di ambiguità: da una parte penso alla mia grande passione artistica, il futurismo, che traeva la sua energia dalla velocità e dalle fiducia nel cambiamento, nel futuro. Dall’altra credo che, per quanto riguarda la moda, siano necessari metodo, tempo, costanza, attenzione alla qualità della produzione e cura per i processi artigianali e per la trasmissione del know how da una generazione all’altra. Tutte cose che hanno bisogno di tempo, di lentezza, persino.
Oggi quante persone lavorano per il suo gruppo?
Circa 50: siamo più simili a uno studio di progettazione che a una grande azienda di moda. Nella sede di Castello Marco Simone, alle porte di Roma, che ho restaurato con mio marito, nascono gli schizzi delle collezioni e tutti i nuovi progetti. Ma la realizzazione è affidata a collaboratori e partner esterni.
Tornando al futurismo, lei ha prestato al Padiglione Italia di Expo un monumentale arazzo di Giacomo Balla. La moda deve sostenere l’arte?
Posso dirle quello che abbiamo fatto come gruppo Biagiotti negli anni. Oltre alla Fondazione Biagiotti Cigna, alla quale appartengono moltissime opere di Balla che spesso prestiamo per mostre in giro per il mondo, ho sostenuto il restauro delle fontane di Piazza Farnese e quello della Scala Cordonata nel Campidoglio, disegnata da Michelangelo. Gli interventi una tantum vanno bene e sono felice quando sento che un grande nome, italiano o straniero, si impegna in prima persona. Ma il vero investimento è nella manutenzione, magari anche minima ma continua.