Il Sole 24 Ore, 6 agosto 2015
Accordo con l’Iran per lo sblocco dei crediti Eni. «Saranno restituiti in barili di petrolio dopo l’approvazione dell’intesa da parte del consiglio economico supremo», ha annunciato l’amministratore delegato Claudio Descalzi. Il Cane a sei zampe è pronto a tornare in Iran, dove è un attore storico dai tempi in cui Mattei sfidò qui la Sette Sorelle del petrolio. «Ma a condizione che vengano presentati da Teheran nuovi contratti più vantaggiosi»
L’invito ufficiale al presidente Hassan Rohani a venire in Italia apre le porte all’Iran strategico. Nell’ufficio del ministro del Petrolio Bijan Zanganeh una foto in bianco nero, assai sfocata, con una rudimentale trivella in primo piano immortala il momento in cui l’Iran entrò nell’era della globalizzazione. È il 1908: il 26 maggio a Meydal el Naftun, il Posto della Nafta, viene scoperto nell’Iran meridionale dall’Anglo Persian, la nonna della Bp, il più grande giacimento di oro nero del Medio Oriente. Più di cento anni dopo, con in mezzo due ondate di nazionalizzazioni che costarono un colpo di stato nel ’53 e una rivoluzione islamica nel ’79, l’Iran ha ancora tra le maggiori riserve al mondo di petrolio e gas.
È qui che l’Eni è venuta per riavere i suoi crediti e delineare nuovi contratti. La cassaforte dell’Iran è custodita al ministero del Petrolio: l’oro nero in Iran paga tutto, è il 50% del bilancio dello stato, regge l’intero sistema, guerre comprese, in Siria e Iraq, e le nuove ambizioni da superpotenza regionale ed economica dopo l’accordo di Vienna sul nucleare. Tiene in piedi la repubblica islamica degli ayatollah come un tempo puntellava l’impero di cartapesta dello Shah Mohammed Reza Palhevi. Il resto sono chiacchiere.
È entrato con passo deciso l’amministratore delegato dell’Eni Claudio Descalzi, insieme al ministro degli Esteri Paolo Gentiloni e a quello dello Sviluppo Federica Guidi, per reclamare 800 milioni di dollari dovuti dagli iraniani per l’impianto nel giacimento petrolifero di Darquain in Khuzestan. «L’accordo c’è, i crediti saranno restituiti in barili di petrolio dopo l’approvazione dell’intesa da parte del consiglio economico supremo», ha annunciato Descalzi.
L’Eni è pronta a tornare in Iran, dove è un attore storico dai tempi in cui Mattei sfidò qui la Sette Sorelle del petrolio. «Ma a condizione che vengano presentati da Teheran nuovi contratti più vantaggiosi», aggiunge Descalzi. Sottolineando che l’Eni è rimasta in Iran anche durante gli anni duri della guerra contro l’Iraq e dell’embargo, quando di solito le altre compagnie facevano i bagagli.
Zanganeh, che ha incontrato tre volte Descalzi negli ultimi due mesi, non si tira indietro perché è questo che vogliono sentire le major occidentali: «A dicembre a Londra presenteremo gli schemi per i nuovi contratti molto più attraenti per le società straniere». «La visita di questa delegazione – ha aggiunto il ministro – rappresenta una luce verde per la futura presenza delle società italiane». Zanganeh ha delineato i termini di una futura collaborazione: «Gli italiani prima acquistavano greggio direttamente da noi, poi abbiamo avuto problemi a causa delle sanzioni. L’obiettivo adesso sono investimenti in joint venture per arrivare a una produzione congiunta. I prodotti estratti non saranno destinati solo al mercato iraniano ma anche a Paesi terzi».
La Royal Dutch Shell è già entrata nell’ufficio di Zanganeh ma in condizioni un po’ diverse da quelle dell’Eni. La multinazionale deve agli iraniani 2 miliardi di dollari in forniture di petrolio non pagate a causa delle sanzioni. Gli iraniani non si sono scomposti: «Troveremo un accordo», hanno detto, e gli uomini della Shell stanno affittando a Teheran un ufficio da 5mila metri quadrati.
Ma l’Iran può essere un’alternativa strategica come fornitore di gas per l’Europa? La risposta dell’amministratore delegato dell’Eni incrina qualche mito: «L’Iran ha forse le prime riserve al mondo ma con i prezzi attuali molto bassi in Europa i costi per trasportarlo sono troppo alti e non conviene: le esportazioni saranno dirette ad altri mercati, ai consumi regionali, dal Golfo al Pakistan, all’India».
La chiave d’interpretazione dell’Iran, secondo il religioso Moshen Kadivar, è sempre e comunque il petrolio. «Con le entrate dell’oro nero è la società che ha bisogno del Governo per vivere, non il Governo della società per sostenere l’economia. Alla democrazia serve la partecipazione della gente e finché avremo il petrolio non sarà possibile». Ma la legge del mercato cambia anche le situazioni: con le entrate petrolifere in declino l’Iran sente il peso del sostegno al regime di Damasco e ha convocato a Teheran la diplomazia russa e siriana per trovare una via di uscita regionale al conflitto. Il nuovo Iran, dopo Vienna, può essere anche questo.