la Repubblica, 6 agosto 2015
La seconda vita di Claudio Amendola, non più coatto. «Ho avuto la fortuna di avere una faccia e di essere figlio di attori. Grazie alla faccia ho imparato il mestiere». L’attore che faceva innamorare le adolescenti nelle commedie di Vanzina, poi padre ideale grazie ai Cesaroni, ora sta girando Lampedusa, film tv in cui interpreta un comandante della Guardia costiera, e Suburra di Stefano Sollima
Casa accogliente a due passi da Villa Borghese, Claudio Amendola prende una birretta ghiacciata dal frigo: «Davvero non vuole niente?». Il cane scodinzola, la moglie Francesca Neri esce con un’amica, lui saluta il figlio Rocco, che chiama affettuosamente Gino, un gioco tra loro. Alto, sorridente, un miscuglio tra mamma e papà, spiega che al mare con gli amici hanno dormito. «Va così, oggi i ragazzi in vacanza si risposano. Mah». L’attore che faceva innamorare le adolescenti nelle commedie di Vanzina, poi padre ideale grazie ai Cesaroni, a 52 anni conserva la faccia da gatto e una simpatia irresistibile. Sta girando per la Rai Lampedusa, il film tv di Marco Pontecorvo in cui interpreta un comandante della Guardia costiera. È ispirato alla storia vera del tenente di vascello Achille Selleri che nel 2008, ospite da Fabio Fazio a Quello che (non) ho raccontò il gesto generoso dei pescatori di Mazara del Vallo che, nonostante le condizioni proibitive del mare, salvarono insieme agli uomini della capitaneria 623 persone. La fiction andrà in onda su RaiUno l’anno prossimo, a ottobre Amendola sarà al cinema con Suburra di Stefano Sollima, dopo il successo da regista col Gioco del pinguino sta scrivendo un nuovo film, un thriller. «Sa che ho scoperto? Scrivere è la cosa che mi piace di più».
Amendola, cosa si prova a trasformare in film le immagini viste tante volte nei tg?
«Il progetto l’ho portato io in Rai. Il racconto di Selleri mi colpì molto, un episodio di solidarietà immensa. Sono successe troppe cose in quel mare, la nostra storia ne riassume tante. Il film intreccia la vicenda di una madre che si ricongiunge col figlio, e quella di una volontaria, Carolina Crescentini».
Com’è stata l’esperienza a Lampedusa?
«Lampedusa passa per essere un valico di frontiera, ma è un’isola meravigliosa, ci hanno accolti con molti timori e domande giustificatissime,temevano che che passasse l’idea di un’isola assediata, pericolosa. In albergo mi ha fatto piacere parlare con tanta gente che diceva:torneremo. Il film racconta quanto Lampedusa sia stata fondamentale per salvare migliaia di vite. La domanda è: siamo un paese che accoglie o respinge? Spero che saremo ancora un paese che accoglie».
Chi è il comandante che interpreta?
«Un uomo della Guardia costiera con un buco nero, viene trasferito a Lampedusa, una realtà così forte per lui diventa terapeutica. Gli sbarchi si moltiplicano, i morti diventano numeri. Invece dovrebbe scattare la solidarietà, sempre. Sono felice di tornare in Rai con un progetto come questo».
Da quanto tempo non lavorava per la Rai?
«Dieci anni. Nel 2006 ho iniziato I Cesaroni, che mi ha dato tanto. Con la Rai c’è un legame affettivo, la prima cosa che ho fatto è stata Storia d’amore e d’amicizia nell’82, ero un ragazzino. A Cinecittà incontravi Gassman, Sordi, Tognazzi, Volontè. Ho conosciuto Stefano Vanzina, il grande Steno, avevo già fatto i film col figlio Carlo. Gli facevo raccontare di Totò e Fabrizi, gli recitavo Un americano a Roma».
Come ha iniziato a fare l’attore?
«Ho avuto la fortuna di avere una faccia e di essere figlio di attori (Ferruccio Amendola e Rita Savagnone, n.d.r ). Grazie alla faccia ho imparato il mestiere».
Per anni ha interpretato poliziotti o delinquenti.
«Sì, personaggi molto terreni. La svolta è avvenuta con Wilma Labate con cui ho girato La mia generazione ma soprattutto Domenica: forse è uscito tre giorni nelle sale, ma è il film a cui sono più legato. Nel pieno del successo, della gioia – stavo con Francesca – mi ha regalato un personaggio che faceva i conti con la morte. Mi ha detto: “Tu hai un dolore nascosto” e io, sempre “sampietrino”, ho tirato fuori altro. È chiaro che mettersi alla prova è lo stimolo più importante per un attore. Il protagonista di Ultrà mi alzo la mattina e lo faccio, ma con Wilma ho scoperto un altro Claudio».
Era sicuro del mestiere che aveva scelto?
«Sono stato ore fuori dalle roulotte a guardare: “Famme vede’ che mestiere posso imparare perché non so quanto durerà”. Chi se l’immaginava che avrei fatto davvero l’attore? Sono stato zitto dieci anni ad ascoltare registi e attori, oggi dopo dieci minuti sul set so come finirà la giornata. Ho imparato moltissimo dai registi incartati, quelli che fanno, fanno, per tornare al punto di partenza. Una sera Mastroianni a cena, fra tante cose, ne disse una che mi colpì: “Quando ti capiterà di incontrare un regista pippa, statte zitto se no s’incarta e non finisci più».
Poi com’è cambiata la sua vita?
«Da ragazzo pensavo: “Ho svoltato”, il successo, le donne. Un senso di onnipotenza. Maturando ti svesti dei panni comodi che ti sei creato, lasci il personaggio».
Il suo personaggio era “il coatto”.
«Vent’anni fa mia madre mi fa: “Affrontiamo il fatto che sei un ragazzo borghese, che sei cresciuto in un casa piena di libri, che hai avuto la fortuna di cenare con Abbado e Pollini?”. Abbado era cugino di mamma. Ecco, io sono stato a casa di Arturo Benedetti Michelangeli. Mi ha messo di fronte alla realtà: non avevo più bisogno di fare tutto ‘sto casino».
E nel privato?
«Nel privato Francesca è stata la chiave di volta della mia vita. Mi ha fatto scoprire chi sono. Sono diventato padre della mie figlie perché sono diventato padre di Rocco. Ero troppo giovane quando sono nate, sono già nonno. Dico sempre: Franco Rossi mi ha fatto diventare un attore e una donna mi ha fatto diventare un uomo. All’inizio ero spaventato, Francesca era impegnativa, ma l’amavo. Mi sono detto: e se la perdo? Mi sono messo in gioco».
È stato un anno importante: il successo con “Noi e la Giulia” di Edoardo Leo, “Suburra” con Sollima.
«Edoardo è un regista bravissimo, sa quello che vuole. In Suburra faccio il Samurai, un vero gangster: è un uomo spaventoso. Fare il cattivo m’intriga di più».
Giravate “Suburra” e le inchieste raccontavano Mafia Capitale.
«La prepotenza è peggio della violenza, questa gente aveva la certezza dell’impunità. Provo più rabbia nei confronti della classe politica che verso quella criminale, quelli fanno i criminali. Per me il politico è ancora come il medico. Merita rispetto. Oggi è facilissimo buttare la croce su Marino, ma non ha tutte le responsabilità. Abbiamo avuto un’amministrazione marcia, questa città è in balìa delle lobby, ha vinto l’inciviltà. Sono diventato un vecchio rompiscatole, fotografo le auto in seconda fila».