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 2015  agosto 06 Giovedì calendario

Il governo si è dimenticato 150 bimbi in Congo. L’anno scorso il ministro Boschi ne portò in Italia 31 e l’esecutivo si fece una sorta di spot: «Li salveremo tutti». Invece sono ancora in Africa e i genitori denunciano: «Alcuni di loro ci hanno lasciato a causa di malaria e morbillo, malattie che qui avremmo curato facilmente»

La treccina ai capelli, soprattutto. «Me l’hanno fatta loro», disse una sorridente Maria Elena Boschi. Loro: i 31 bambini congolesi che il 28 maggio 2013, con un volo Kinshasa-Roma, il governo portò in Italia per affidarli, dopo sette mesi di attesa, ai genitori adottivi italiani. La treccina, ma anche la discesa dall’aereo tenendo per mano, sulle scalette, due dei viaggiatori più piccoli. Un’immagine spot per il governo Renzi, in carica da poco più di tre mesi.
Il premier scelse lei, il ministro dei Rapporti con il Parlamento, e non i titolari di Esteri e Lavoro (quest’ultimo in possesso delle deleghe sulle politiche per la famiglia) per mettere il cappello sulla soluzione di una vertenza diplomatica con la repubblica democratica del Congo, che aveva tenuto con il fiato sospeso decine di coppie. «Lavoreremo con lo stesso impegno anche per le famiglie che sono in una situazione analoga», promise Boschi. I 31 bambini sbarcati a Ciampino, infatti, erano solo una parte dei minori vittime del blocco delle adozioni deciso da Kinshasa quasi due anni fa. Nonostante le assicurazioni del governo, però, degli altri 150 bambini che ancora aspettano di arrivare in Italia si sono perse le tracce. E alcuni di loro, denuncia dalla Camera dei deputati una rappresentanza dei genitori adottivi, «in questo lungo periodo di attesa ci hanno lasciato. Deceduti per la malaria, il morbillo e altre malattie banalissime, purtroppo non curate per tempo. Tutto ciò mentre noi avevamo pazienza».
È durissimo l’atto di accusa che la delegazione dei genitori ricevuti ieri a Montecitorio dal deputato Cosimo Latronico (Forza Italia) rivolge al governo per la gestione della controversia con il Congo dopo il parziale successo dell’anno scorso. «Ci avevamo creduto, gli avevamo dato fiducia», dice con le lacrime agli occhi Antonella Prete, l’avvocato che rappresenta le famiglie. Invece l’esecutivo, direttamente o attraverso la Commissione per le adozioni internazionali (Cai) che ha sede a Palazzo Chigi, è sfuggito a ogni richiesta di incontro o informazione sulla sorte dei piccoli. «Abbiamo scritto giornalmente al governo, al presidente del consiglio, alla Cai, chiedendo un incontro. La risposta, nelle rare volte in cui è arrivata, è sempre stata la stessa: dovete avere pazienza, fiducia e mantenere il riserbo». L’ultima volta pochi giorni fa, nella mail del 28 luglio.
Dall’inizio della moratoria sulle adozioni, disposta dal Congo dopo aver scoperto che alcuni Paesi, ma non l’Italia, si erano resi protagonisti di alcune irregolarità procedurali, «c’è stata un’assenza di comunicazione tra il governo e le famiglie adottive». L’unico incontro con la Cai è datato novembre 2014; appena sei le mail ricevute. È rimasto sulla carta anche l’impegno di stipulare con il Congo un accordo bilaterale in grado di velocizzare l’iter per le adozioni, così come assicurato dallo stesso Renzi all’arrivo dei primi 31 bambini.
Adesso il tempo è scaduto. «Il governo assuma subito una forte iniziativa diplomatica», incalza Latronico, che mette in guardia dal rischio che il Congo, prima o poi, «ci ripensi» e blocchi del tutto le adozioni nonostante la «sentenza emessa dai suoi tribunali». Il problema è anche politico. «Vogliamo che Palazzo Chigi si assuma le sue responsabilità? Chi sta seguendo il dossier? Prima era di competenza dell’allora sottosegretario Graziano Delrio, adesso la palla è passata al sottosegretario Claudio De Vincenti?». In sala fa capolino, imbarazzatissima, la renziana Lia Quartapelle, segretario della commissione Esteri. Ma la sua è un’apparizione fugace: giusto il tempo per capire che tira una brutta aria.