Corriere della Sera, 6 agosto 2015
Gian Carlo Caselli e quel viaggio in giro per l’Europa a bordo di una Fiat color granata (in onore del Torino). «Era il 1983, Pasqua, andammo a messa a Praga. Ricordo la cattedrale, era deserta. Facemmo centinaia e centinaia di chilometri in macchina. Io, mia moglie Laura e i miei figli Paolo e Stefano. Furono loro a portare le musicassette di quel gruppo... come si chiamano... i Girighiz. Vabbè, io li chiamavo così. Non sono mai andato d’accordo con quel nome... Dire Straits»
«Quella volta lì facemmo centinaia e centinaia di chilometri in macchina. Io, mia moglie Laura e i miei figli Paolo e Stefano. Furono loro a portare le musicassette di quel gruppo... come si chiamano... i Girighiz».
I Giri che? «Vabbè, io li chiamavo così. Non sono mai andato d’accordo con quel nome... Dire Straits». Proc! Ma non si pronuncia così come si legge... «Vede che ho ragione io? Meglio Girighiz, che poi era un personaggio dei fumetti che pubblicava Linus. Alla fine del viaggio anche i miei figli li chiamavano così».
Un inedito Gian Carlo Caselli racconta di «quella volta lì», di quel viaggio di Pasqua Torino-Praga-Dresda-Monaco. È il 1983, lui è giudice istruttore a Torino, lo Stato sta vincendo la partita contro Br e Prima linea, nessuno osa ancora sognare che il muro di Berlino possa essere abbattuto, come accadrà solo sei anni dopo. In quelle vacanze di Pasqua, quindi, la famiglia Caselli parte in direzione nord-est. Colonna sonora: le canzoni della rock band britannica più celebre dell’epoca.
Nell’abitacolo della Fiat 128 che il capofamiglia ha voluto color granata in onore del Toro di cui è tifosissimo, i Dire Straits vincono la sfida degli ascolti con Battiato. «Erano quasi alla pari. Ma c’erano i ragazzi... Paolo aveva 13 anni, Stefano 8. A loro piacevano più i Girighiz e ricordo che nel tragitto verso Praga, lungo praterie sconfinate, quella musica rendeva il viaggio un po’ più viaggio...». L’album Love Over Gold, soprattutto, con i 14 minuti e mezzo di Telegraph Road. «Io ascoltavo ma non potevo distrarmi molto. Dovevo stare incollato alla Mini Minor di Vazzoler, sennò chi lo recuperava più se ci fossimo persi... mica c’erano i telefonini».
Mino Vazzoler, «carissimo amico da sempre», era ingegnere alla Fiat («io lo sfottevo: una vergogna non avere l’auto Fiat»). Era con sua moglie Mia e i loro due figli, Marco e Carlotta: «Mino era un organizzatore formidabile. Itinerario, tempi, alberghi, soste... si occupava di tutto lui, io dovevo solo star dietro alla sua Mini».
Mancano ancora tre anni perché il giudice istruttore Caselli diventi componente del Csm, ce ne vorranno altri dieci per vederlo alla guida della procura di Palermo e ne mancano ancora tantissimi per il ritorno a Torino (nel 2002 procuratore generale e poi, nel 2008, procuratore capo). In questa primavera del 1983, mentre i ragazzini canticchiano Industrial Disease, lui guida verso il centro di Praga.
Che adesso riemerge da un angolo della memoria. «Di quella città ricordo che era grigia, apparentemente spenta, vecchia e decadente. Ma di un fascino straordinario, unico. Non scorderò mai la mattina di Pasqua. Noi e i Vazzoler andammo in cattedrale per la messa. Era deserta, a dimostrazione dei danni che aveva fatto la monocultura del regime. Ricordo bene un attimo di incertezza dell’arcivescovo mentre facevamo la comunione, forse temeva una provocazione...».
Di nuovo in viaggio, la voce di Battiato e le note di Cuccurucucù si fanno spazio a spintoni fra Solid Rock e Private Investigations. Dopo ore di Girighiz il silenzio della notte. «Vazzoler aveva trovato da dormire su un battello ancorato sulla Moldava. Al mattino tiravi la tendina e vedevi oche e anatre a passeggio e i primi vogatori in acqua».
Dresda è la seconda meta prima di una breve sosta a Monaco e del ritorno a casa. «Dunque. Eravamo alla frontiera ceco-tedesca», il pensionato Gian Carlo Caselli (che oggi lavora più di sempre) racconta un episodio fastidioso: «Ricordo una corsia sulla quale le auto passavano veloci mentre noi e i Vazzoler restammo fermi tre ore senza che nessuno ci dicesse perché. Eravamo arrabbiatissimi, e mia moglie, che come uso dire è abbastanza fumantina, quando chiesero di aprire la valigia la sbattè sul tavolo rovesciando davanti a loro la biancheria sporca». Passato il confine, il viaggio riprese senza intoppi. Di Dresda resta l’immagine di «una città rovinata, devastata dalla guerra, ma affascinante, con quell’atmosfera tragica, terribile, cupa». I ricordi di Monaco, invece, si confondono con quelli di tante altre città europee, «salvo che per i wurstel e la birra consumate in gran quantità».
Dopo circa una settimana le due famiglie ripartirono verso Torino, la citta dove vive il Caselli di oggi, presidente del Comitato scientifico dell’osservatorio sulla criminalità agro-alimentare. Il viaggio si chiuse con un abbraccio con i Vazzoler. Dalla portiera aperta della Fiat 128 arrivavano le note di una canzone rock. Dei Girighiz.