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 2009  gennaio 25 Domenica calendario

La Villa Berg di Mosca, prima sede dell’Internazionale, poi dell’ambasciata italiana

Gradirei sapere se lei, durante la permanenza a Mosca, abitava nella villa del quartiere Arbat fatta costruire dall’ingegner Berg, successivamente occupata dal Comintern e, a partire dal 1924, dall’Ambasciata italiana. Ho letto anche di un fatto di sangue avvenuto il 6 luglio 1918 quando Jakov Bljumkin uccise il conte Wilhelm Mirbach, rappresentante diplomatico della Germania.
Antonio Fadda
antoniofadda2@ virgilio.it
Caro Fadda,
Ho abitato in quel palazzo per quasi quattro anni e ne conosco la storia. Fu costruito nel 1908 per i Berg, una famiglia di mercanti che si era arricchita, negli anni del decollo economico, con il commercio dello zucchero. Come altri membri della nuova aristocrazia mercantile, Berg volle una piccola reggia nel gusto eclettico che faceva furore a Mosca in quegli anni: una facciata per metà barocca e per metà neoclassica, un ingresso neogotico, un salone «belle époque», una sala da pranzo «Rinascimento» e stanze da letto in stile medioevale, Luigi XVI o Art Nouveau. Ma volle anche che questo pot-pourri di gusti e stili fosse fornito di tutti i comfort della modernità: luce elettrica, campanelli, bagni all’inglese.
I Berg non ebbero fortuna. Nove anni dopo l’inaugurazione della loro casa, tutti i loro beni furono soggetti ai provvedimenti di confisca del governo rivoluzionario. Salvarono il palazzo per qualche tempo, tuttavia, affittandolo, nella primavera del 1918, al governo della Germania imperiale. Per comprendere i motivi della presenza tedesca nella capitale della Russia dei Soviet occorre fare un passo indietro. In marzo, a Brest Litovsk, una delegazione del governo bolscevico, con l’acqua alla gola, aveva firmato un trattato di pace con la Germania, l’Austria- Ungheria e la Bulgaria. Con quel trattato i tedeschi vincitori avevano tolto alla Russia buona parte dei suoi territori occidentali e le avevano imposto pesanti clausole economiche: importanti forniture di materie prime, utilissime per il proseguimento della guerra in Europa occidentale, e un trattamento privilegiato per tutte le attività economiche tedesche in territorio russo. Quando mise piede a Mosca e s’installò con i suoi collaboratori a palazzo Berg, il conte von Mirbach non era soltanto l’ambasciatore del suo Paese. Era anche e soprattutto un proconsole, dotato di larghi poteri e di cospicui mezzi finanziari, rispettato e temuto, ma inviso a tutti coloro che rimproveravano a Lenin il trattato di Brest. Vi erano allora a Mosca due partiti: quello dei bolscevichi, a cui premeva anzitutto consolidare il potere, anche a costo di qualche sacrificio; e quello dei socialisti-rivoluzionari, decisi a diffondere la rivoluzione con ogni mezzo. A questi ultimi sembrò che il modo migliore per raggiungere lo scopo fosse quello di assassinare von Mirbach e di provocare in tal modo la rottura delle relazioni diplomatiche fra la Germania imperiale e la Russia.
Il «fatto di sangue» a cui lei si riferisce ebbe luogo nel primo pomeriggio del 6 luglio. Due socialisti rivoluzionari infiltrati nella Ceka, Jakov Bljumkin e Nikolas Andreev, suonarono alla porta di palazzo Berg e riuscirono con uno stratagemma a farsi ricevere dall’ambasciatore. Quando questi chiese di vedere le loro credenziali, i due estrassero le pistole dalle loro borse e cominciarono a sparare. Mirbach evitò i primi colpi e fuggì attraverso il salone nella speranza di raggiungere il piano superiore. Ma Andreev lo ferì alle spalle con la pistola e Bljumkin lanciò una bomba a mano nel mezzo della stanza. Contemporaneamente i socialisti rivoluzionari cercavano, con un colpo di mano, di impadronirsi del potere.
Il putsch fallì. Nel giro di qualche ora i bolscevichi, con l’aiuto di tre battaglioni di fucilieri lettoni, riuscirono a controllare la situazione. Per evitare rappresaglie tedesche, nel frattempo, alcuni fra i maggiori dirigenti bolscevichi, fra cui lo stesso Lenin, andavano a palazzo Berg per presentare le loro scuse e condoglianze.
I tedeschi rimasero a Mosca sino alla fine della guerra, nel novembre 1918. Più tardi, come lei ricorda, il palazzo ospitò il segretariato della III Internazionale e dal 1924 l’ambasciata d’Italia. Aggiungo, per completare il quadro, che nel 1941, quando l’Italia dichiarò guerra all’Urss, fu affidato alla custodia dei giapponesi; e che nel 1945, quando l’Urss dichiarò guerra al Giappone, ospitò una scuola. Fu restituito all’Italia dopo il trattato di pace del 1947 e il suo primo inquilino fu Manlio Brosio, ambasciatore dal 1947 al 1951.