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 2015  agosto 04 Martedì calendario

Il collasso di Porto Rico. La Grecia dei Caraibi ha accumulato un debito pubblico da 72 miliardi di dollari e ora va in default per 58 milioni. Evasione fiscale alle stelle, obbligo di garantire un salario pari 7,25 dollari all’ora, uguale a quello americano in un Paese che certamente non ha gli stessi valori di produttività. Uno squilibrio che ha fatto schizzare la disoccupazione sopra il 25% e gonfiato il numero di migranti. E l’Fmi non può intervenire

Porto Rico in default. La quiebra, default in spagnolo, è di 58miloni di dollari. Non tanto, per la verità. Una cifra che Jennifer Lopez, con un beau geste rivolto al suo Paese d’origine potrebbe tranquillamente sborsare a beneficio dei concittadini dei suoi avi.
Non lo farà, naturalmente. Chissà, forse si limiterà a cantare Waiting for tonight, un auspicio per una soluzione che per ora non si intravvede. Ieri però è scattato il cartellino rosso delle agenzie di rating e dei mercati finanziari e i 3,6 milioni di abitanti dell’isola entrano in un limbo di incertezza che condurrà molto probabilmente a un piano di austerità.
Facili le analogie tra quest’isoletta caraibica, a poche miglia dagli Stati Uniti, e la Grecia. Anche se quello di Porto Rico è un default anomalo, per un Paese anomalo.
Lo status di Porto Rico è infatti molto inusuale: non è uno stato americano, ma è un territorio che appartiene agli Stati Uniti. Una piccola complicazione che non consente a Porto Rico di ricevere aiuti dal Fondo monetario internazionale, trattandosi di Paese non sovrano.
L’economia di Porto Rico, in crisi da più di dieci anni, ha accumulato un debito pubblico di 72miliardi di dollari ma soprattutto una ridda di inefficienze e una gestione della finanza pubblica a dir poco scellerata. Evasione fiscale alle stelle, obbligo di garantire un salario orario pari 7,25 dollari all’ora, uguale a quello americano in un Paese che certamente non ha gli stessi valori di produttività. E proprio questo squilibrio ha fatto schizzare la disoccupazione sopra il 25% ma ha soprattutto gonfiato il numero di migranti verso gli Stati Uniti.
È troppo facile definirla la Grecia dei Caraibici ma qualche similitudine c’è: in primis la gestione dissennata della cosa pubblica, ammessa dallo stesso governatore di Porto Rico, Alejandro Garcia Padilla, che un paio di mesi fa aveva preannunciato la difficoltà di evitare il default, «non è questione di politica, ma di matematica». E ha ammesso che non ci sono fondi disponibili per pagare gli obbligazionisti, in quanto le finanze pubbliche saranno concentrate a consentire il funzionamento dei servizi essenziali, come sanità e sicurezza.
Così è andata. Portorico è caduto in default, non essendo in grado di ripagare un bond da 58 milioni di dollari di una sua agenzia governativa, in scadenza sabato scorso, ma che cadendo di pre-festivo ha visto rinviare a ieri la data ultima per il rimborso. L’importo include anche gli interessi e i 597 milioni di euro che il Paese e le sue agenzie governative devono rimborsare ai creditori questo mese.
Le trattative potrebbero iniziare già la prossima settimana. Intanto diversi candidati alle presidenziali americane del 2016 hanno preso posizione riguardo la questione del debito portoricano. La dichiarazione più incisiva è stata quella del candidato alle primarie democratiche del 2016 Bernie Sanders, secondo cui «il governo statunitense deve fare tutto il possibile per permettere a Porto Rico di ristrutturare il proprio debito, in maniera razionale, senza continuare a danneggiare ulteriormente la popolazione locale» aggiungendo che «è necessario che gli Stati Uniti riconoscano che le politiche di austerity e l’avidità delle grandi istituzioni finanziarie sono due dei principali motivi per cui Porto Rico si trova ad avere un debito insostenibile».
Più diplomatica ma pur sempre disponibile a tendere una mano verso l’alleato in difficoltà è stata anche Hillary Clinton che ha riconosciuto come il congresso statunitense abbia il dovere di intervenire per aiutare il governo portoricano a ristrutturare il proprio debito pubblico.
La crisi economica di gran parte dei Paesi del Vecchio continente e dei Brics non rende favorevole il clima internazionale per recepire un altro default. Eppure su Porto Rico, almeno finora, si preferisce la via dell’understatement. Il potentissimo ministro tedesco delle Finanze Wolfgang Schäuble ha detto così: «Ho già proposto al mio amico Jack Lew (ministro del Tesoro degli Stati Uniti) che noi potremmo accettare Porto Rico nella zona euro se loro (gli Stati Uniti) incorporano la Grecia nella zona dollaro».