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 2015  agosto 04 Martedì calendario

Perché nel 2015 il Pil della Grecia crollerà del 4%. Il controllo dei capitali sta asfissiando il Paese. Le aziende possono pagare direttamente i loro fornitori esteri solo fino a un tetto massimo di 50mila euro (appena alzato a 100mila). Per le operazioni oltre a questa cifra serve l’autorizzazione del ministero delle Finanze. A giugno l’import di materie prime è sceso del 50%. In queste condizioni impossibile per le aziende fare business

Le vigne ai piedi del Falakro e del Menikio, quest’anno, sono cariche d’uva come non mai. Il sole sta facendo salire il livello di zucchero negli acini, il maltempo – facendo gli scongiuri – ha risparmiato i filari nelle valli a nord di Kavala. I viticoltori ellenici però non hanno nessuna voglia di festeggiare. La vendemmia 2015 è a rischio. E non per colpa di grandine o peronospora ma a causa del nuovo nemico pubblico numero uno di tutto il paese: i controlli di capitali.
Il copione di questa nuova tragedia greca è uguale per tutti: agricoltori e multinazionali, commercianti e pescatori. Sei mesi di estenuanti negoziati a Bruxelles hanno messo in ginocchio le imprese e frenato i consumi. La stretta sulla liquidità imposta dalla crisi e dal Governo il 29 giugno è stata però il colpo di grazia che ha paralizzato il paese, senza risparmiare nessuno: i produttori di vino faticano a pagare i fornitori esteri di bottiglie e tappi e molti non riceveranno in tempo le barrique in quercia in cui invecchiare la produzione dell’anno. I delfini e il formichiere dello zoo di Atene rischiano la pelle perché il gestore – che pure ha il conto in banca gonfio di liquidità – non può a girare in Olanda e Germania i contanti necessari a sbloccare le sardine surgelate per i cetacei e i vermi di cui va ghiotto il mammifero sudamericano. Centinaia di pescherecci sono fermi perchè mancano i soldi per la benzina mentre tra il Pireo e le frontiere di terra – calcola la Camera di Commercio – ci sono 4.500 container bloccati perché i destinatari ellenici non riescono a pagare venditori che – vista la situazione – pretendono pagamenti anticipati al 100%.
La Grecia si sta fermando. E il risultato è paradossale: il rischio di Grexit – archiviato in apparenza grazie al compromesso con Ue, Bce e Fmi del 13 luglio – rischia di rientrare ora dalla finestra. E non per colpa dei falchi del nord o di Wolfgang Schaeuble, ma per il micidiale mix tra le divisioni di Syriza, un memorandum lacrime e sangue difficilissimo (dicono tutti) da implementare e la realtà di un’economia arrivata di nuovo – causa asfissia finanziaria – sull’orlo del crac.
I dati sullo stato di salute di Atene sono quelli di una Caporetto: a fine 2014 le agenzie di rating prevedevano per il Pil di quest’anno una crescita del 2,5%. Oggi, dopo cinque settimane di liquidità con il contagocce, la Ue ha rivisto al ribasso le stime aggiornandole a una flessione tra il 2 e il 4%. La situazione si è avvitata a gran velocità con i controlli dei capitali: le aziende possono pagare direttamente i loro fornitori esteri solo fino a un tetto massimo di 50mila euro (appena alzato a 100mila). Per le operazioni oltre a questa cifra serve l’autorizzazione del ministero delle Finanze.
Far funzionare il business dentro questi rigidissimi paletti è quasi impossibile: dei 3,5 miliardi di importazioni al mese necessari per tenere in vita la Grecia Spa, solo 500 milioni sono disponibili oggi senza l’ok del governo. Accedere agli altri 3 miliardi è un terno al lotto visto che lo Stato ne ha sbloccati in un mese solo 1,5. Le importazioni, per l’associazione delle imprese elleniche, sono crollate del 50% a giugno. La metà delle aziende nazionali ha lasciato a casa a luglio parte del personale per la mancanza di materie prime da lavorare, quasi tutte stanno tentando disperatamente di aprire conti correnti all’estero per aggirare la stretta alla liquidità. E un quarto di loro, secondo un drammatico studio appena pubblicato dalla Endeavor, si è arresa e sta pensando di emigrare trasferendo il quartier generale oltrefrontiera.
I guai dei vignaioli del Nord e delle bestie dell’Attika Park di Atene sono solo la punta dell’iceberg e il crollo della Borsa e dell’indice manifatturiero annunciati ieri rischiano di essere solo l’anticamera di un disastro annunciato se non si libererà rapidamente il paese dai lacciuoli dei controlli di capitale che rischiano di costare secondo l’Ufficio pubblico di bilancio fino a 1,75 miliardi di Pil alla settimana.
L’unica nota positiva per l’economia della Grecia è la tenuta, almeno finora, del turismo, voce che vale da sola il 16% del Pil del paese. Tra gennaio e maggio gli arrivi sono cresciuti del 27% con entrate dirette di 2,2 miliardi. Una goccia nell’oceano dei guai ellenici: «Il rischio di Grexit esiste ancora – ha detto ieri il vicepremier Yannis Dragasakis –. Appena firmata l’intesa con i creditori e sbloccati gli 86 miliardi di aiuti potremo togliere i controlli ai capitali e ripartire». I cittadini ellenici (e il formichiere dello zoo di Atene) si augurano abbia davvero ragione.