Il Messaggero, 4 agosto 2015
La metamorfosi di Kafka, un incubo lungo cent’anni. Nel 1915 veniva pubblicato per la prima volta il capostipite di una generazione di romanzi splatter, capace di mescolare il fantastico al dettaglio realistico, l’onirico-fiabesco alla descrizione della quotidianità. Non si contano le versioni, parodie, rivisitazioni, che affollano la cultura pop
Anche una persona semi-istruita, che non ne ha mai letto una riga di Kafka, dopo essersi aggirata inutilmente per una mattinata negli uffici di un ministero, dichiara con enfasi: «Ho vissuto una situazione kafkiana!». Nessuno direbbe mai, a proposito di qualsiasi eperienza gli accada di fare, “situazione joyciana” o “situazione proustiana”... Dei grandi scrittori novecenteschi della Crisi – quelli che nei paesi anglosassoni vengono definiti “modernisti” – Kafka è l’unico a essere davvero popolare. E Kafka è popolare, e arriva al cuore di tutti, perché la sua grandezza non è tanto legata a audacia espressiva, a destabilizzazioni della sintassi, quanto all’invenzione di alcune tra le più potenti mitologie della modernità, che a loro volta anticipano orrori e conflitti della nostra epoca: nel Processo essere inquisiti senza alcuna ragione (si è colpevoli proprio in quanto inquisiti), nel Castello aspirare disperatamente ad essere accolti in un luogo restandone sempre esclusi e soprattutto nella Metamorfosi vedersi trasformati in un gigantesco insetto. Quest’anno ricorre il centenario della Metamorfosi, uno dei racconti più splatter mai pubblicati, capace di mescolare il fantastico al dettaglio realistico, l’onirico-fiabesco alla descrizione della quotidianità. La trama è nota: il metodico impiegato Gregor Samsa si sveglia una mattina scoprendo di essersi trasformato in un insetto (sembra che lo scrittore rifiutasse l’assimiliazione a uno scarafaggio). Accorrono i famigliari e il capufficio. Perderà il lavoro, avrà tutti contro: la madre sviene per lo shock, il padre lo bastona ricacciandolo nella stanza (e poi gli scaraventa una mela che si conficca nella corazza ferendolo), e anche la sorella sedicenne Grete che in un primo momento si era impietosita, dandogli da mangiare, trova un impiego e si allontana. Alla fine Gregor, umiliato per essere divenuto un peso insostenibile (con la sua presenza disgustosa fa scappare gli affittuari) decide di lasciarsi morire rifiutando il cibo.
A FUMETTI
Trattandosi del racconto più popolare di uno scrittore popolare non si contano le versioni, parodie, rivisitazioni, che affollano la cultura pop. Nel fumetto: da un classico come Robert Crumb al più recente adattamento di Peter Kuper, che ha realizzato un graphic novel di grande potenza visiva, con disegni graffiati a china, da una parodia Disney – “La metamorfosi di un papero” (1991) – con testo di Nino Russo e tavole di Andrea Freccero, ad un manga onirico della East Press (purtroppo non ancora tradotto). Nel cinema, tralasciando adattamenti di altre opere (il più celebre è il Processo di Orson Welles), dallo sperimentale “K” di Lorenza Mazzetti nel 1953 a “Franz Kafka’s It’s a Wonderful Life” di Peter Capaldi, nel 1993; ma il rifacimento cinematografico più genialmente visionario resta “La mosca” di Cronenberg, anche se ufficialmente ispirato da un altro racconto (il progetto di un rifacimento della Metamorfosi ha poi tentato a lungo David Lynch). In teatro le trasposizioni del racconto kafkiano sono innumerevoli (anche Polanski), ma vorrei citare almeno quella straordinaria e multimediale della catalana Fura dels Baus, una compagnia che si caratterizza per la radicalità della invenzione teatrale e delle installazioni: intuizione dello spettacolo è ambientare la vicenda in un grande cubo trasparente, e rappresentare la metamorfosi non in insetto ma in un alienato mentale; mentre il drammaturgo Luca Micheletti ne aveva fatto un disabile fisico, seduto su una tecnologica sedia a rotelle. Quanto alla musica segnaliamo una canzone di Caparezza contro i critici musicali, ripieni di “odio represso”, equiparati non a Kafka ma appunto alla sua “blatta” (una assonanza formidabile), e cioè a Gregor Samsa.
L’ALLEGORIA
Del significato allegorico del racconto sono state date molte interpretazioni, tutte in qualche modo plausibili (perfino l’analogia tra il “mutante” e i sintomi della malattia di cui soffriva lo scrittore, la tubercolosi polmonare). Eppure parla di tutti noi, in profondità. Potremmo dire che Kafka suggerisce anzitutto di accettare la propria “mostruosità, per poi riconoscerla negli altri (come sostanza comune) e poter venir a patti con essa (solo così cessa di alienarci). Certo, Kafka è anche molto distante dal nostro presente e dalla società della comunicazione. Nei suoi diari scrive perentoriamente: “Non ho niente da comunicare, mai, a nessuno” (1915). Però la Metamorfosi si annuncia per ogni umanità futura come esercizio terapeutico prezioso e invito a una conversione: diventare insetti mostruosi costituisce infatti solo un passaggio, la prima parte di quella trasformazione positiva – capace di integrare la nostra ombra – che è forse il compito stesso dell’esistenza.