Il Messaggero, 4 agosto 2015
Matteo Messina Denaro e i messaggi nel codice dei pastori: i summit tra mafiosi si chiamavano «concime». «Ti prendi una fascella di ricotta, tu il graniglio quando me lo porti?», si dicevano. Gli ordini del boss a Zio Vito e agli altri nascosti sotto terra avevano scadenze e istruzioni precise: «Leggi e distruggi»
Le comunicazioni si interrompono bruscamente a fine febbraio del 2014 quando l’ultimo invio di “pizzini” si ferma dopo la collaborazione con la giustizia di Lorenzo Cimarosa, imprenditore e cugino del super latitante Matteo Messina Denaro. Ma la primula rossa di Cosa nostra, latitante da 22 anni, deve aver scelto altre strade per dare ordini, altri emissari per comunicare con i suoi. Vito Gondola, il pastore di 77 anni, che sedeva a fianco di Totò Riina nella stagione che ha preceduto le stragi di Falcone e Borsellino, sembra non averlo abbandonato, e pur sapendo che si stava indagando su di lui e sugli altri compari, ha tagliato corto: «Non è che uno si impressiona, non deve camminare più, se dobbiamo camminare dobbiamo camminare...Io solo non lo lascio». Gli investigatori di polizia e ros hanno registrato migliaia di intercettazioni, filmato con grandissime difficoltà gli incontri tra i sodali del boss nelle campagne, luoghi scelti per interrare “i pizzini” e per parlare all’aperto liberamente. E loro, gli undici arrestati nell’operazione denominata Ermes, a volte si sono anche accorti della presenza degli investigatori, ma andavano avanti.
I MESSAGGI
Il compito era quello di occuparsi della comunicazione del padrino di Castelvetrano. E come era già accaduto per Bernardo Provenzano, i contatti viaggiano attraverso la rete dei pizzini. Un metodo arcaico, ma certamente sicuro. Bigliettini ripiegati tanto da diventare minuscoli, avvolti nello scotch perché nessuno ne potesse leggere il contenuto. I favoreggiatori li prendevano, li nascondevano sotto i sassi e li consegnavano ad altri postini in un giro tortuoso di cui non si conoscono ancora molti passaggi. Tutto arrivava con scadenze precise. «A quindici giorni? Oggi ne abbiamo trentuno, perciò il giorno 16 ci dobbiamo vedere». E ancora: «Leggi e distruggi».
Il metodo seguito è descritto nel dettaglio nelle 345 pagine di ordinanza di custodia cautelare. Il gergo usato era quello degli allevatori di bestiame. I summit erano «sementi» o concimi o cibo per maiali, pecore da contare, ricotte da consegnare. «Ti prendi una fascella di ricotta, tu il graniglio quando me lo porti?», si dicevano. Meno fortunato è stato l’esito della caccia ai pizzini: in tre anni di indagine neppure un bigliettino scritto a mano dal solito fedelissimo del boss, mai identificato, è finito nelle mani degli investigatori. Anche se che si trattasse di comunicazioni fatte arrivare da Messina Denaro, gli inquirenti sembrano non avere dubbi. Il nome del padrino viene sussurrato con grande rispetto. «Matteo», dicono. E in un dialogo tra Gondola e Gucciardi in cui ricordano uno del gruppo ora fuori dal giro, aggiungono: «Una volta gli scriveva a lui...davanti a me gli ha scritto».
I VIAGGI
Ora sbaglia chi immagina il super boss legato al “vecchio mondo”, a lui piace la bella vita. I pizzini sono solo una scelta di sicurezza. Viaggia su e giù per l’Europa: in Grecia con una delle tante amanti, in Spagna per un’operazione. Sembra sia stato anche in Sicilia a trovare la figlia Lorenza. Chi è riuscito a contattarlo, sa che per parlargli deve usare un nome convenzionale. È successo in passato con Antonino Vaccarino. «Si chiami Svetonio – gli aveva detto – questo la preserverà dai rischi inutili». Vaccarino ha provato a lungo a farlo consegnare alla giustizia, ma tutto questo era avvenuto per un accordo che lo stesso aveva con il Sisde. Poi una fuga di notizie ha mandato tutto per aria e su Svetonio ora pende una pesante minaccia del boss.