il Giornale, 3 agosto 2015
Emanuela Ughi, la prof di matematica che ha costruito l’icosaedro troncato. Un pallone da calcio, un disegno perfetto che fu realizzato per la prima volta da Leonardo da Vinci. «È tutta una questione di metodo. Non è ancora abbastanza chiaro a chi la studia ma anche a chi la insegna che la matematica è semplice. Che andrebbe spiegata con più serenità. Sinceramente quando vedo un sorriso sul viso dei miei allievi finita una lezione, sono felice. Senza far troppi conti»
La matematica non è un’opinione. La matematica è molto di più. La matematica è ciò che serve per crescere, per diventare consapevole e per costruire il futuro di un Paese più responsabile. Così come la geometria che, da par suo, delinea le forme del mondo. Già, «costruire». Chiudere gli occhi, immaginare un cosa che non si capisce, o non si è capita, e pensare come potrebbe essere se avesse forma, dimensione e corpo. Una nuova via didattica per rendere più semplice una delle materie più difficili. Un esempio? Prendete 20 esagoni e 12 pentagoni che insieme fanno trentadue facce, un poliedro regolare su triangoli regolari che si incontrano cinque a cinque. Colorate gli esagoni di bianco e i pentagoni di nero e poi provate a tagliare le punte. Il risultato è un icosaedro troncato, un pallone da calcio. Un disegno perfetto realizzato per la prima volta da Leonardo da Vinci chiamato a Milano alla corte di Ludovico il Moro nel 1497 per conoscere e collaborare con il frate francescano Luca Pacioli, matematico noto per essere il fondatore della ragioneria e inventore della «partita doppia». Da Pacioli Leonardo apprese la matematica e la geometria, e nel 1509 illustrò con sessanta tavole la versione a stampa del trattato di geometria De divina proportione. E l’icosaedro troncato fu il solido scelto come forma per i palloni da calcio per la sua capacità, una volta gonfiato, di approssimare al meglio la forma di una sfera. Ora il modello dell’icosaedro troncato è stato realizzato dalla professoressa di matematica dell’Università di Perugia Emanuela Ughi che lo ha presentato alla biblioteca Ambrosiana di Milano. Resterà esposto sospeso sopra una copia del De divina proportione insieme con il metodo per realizzarlo che è anche diventato libro (Il poliedro di Leonardo pubblicato dalle edizioni Corsare). E questo poliedro, questo pallone, questo solido che la professoressa Ughi ha immaginato e ricostruito è la prova che ogni cosa, investendoci del tempo, si può capire. È la prova che geometria e matematica possono diventare il grimaldello per aprire porte che sembrano blindate, scardinare convinzioni che sono limiti e dare strumenti di lettura che vanno al di là delle formule e dei numeri.
Si parte da qui allora professoressa?
«Sì, anche. Il prototipo potrebbe essere la mia mamma che quando non capisce una cosa va oltre. Invece io credo che quando ci si sofferma, quando si mettono le mani in pasta, le possibilità di comprendere qualcosa sono molte di più. Ci sono bimbi che non capiscono le formule ma hanno manualità, sanno usare benissimo i materiali. E allora bisogna partire da qui».
E lei da dove è partita?
«Anche io da bambina... Sempre avuto la passione dei numeri. Pensi che quando ero piccola la mia attività preferita era contare i fischioni che mangiavo».
Poi?
«Poi ho continuato con la scuola Montessori. Ma la matematica è sempre stata la mia materia preferita: alle scuole superiori, università e poi l’insegnamento. Ha sempre fatto parte della mia vita e continua a farne parte».
Però la matematica, da sempre, è la materia più odiata.
«È tutta una questione di metodo. Non è ancora abbastanza chiaro a chi la studia ma anche a chi la insegna che la matematica è semplice. Che andrebbe spiegata con più serenità e che c’è una nuova via didattica. Io dico sempre ai miei alunni che quando non si capisce una cosa bisogna provare a chiudere gli occhi e provare a costruirla perché allora si comprendono meglio tutti i passaggi. E vale anche con numeri e forme geometriche».
Sembra facile, tutto qui il segreto?
«No. Ovviamente no. Nessuno diventa un piccolo scienziato se non studia, non si rimbocca le maniche e si mette al lavoro».
Quindi?
«Quindi bisogna prima capire. La matematica non sono solo formule, numeri primi, apotema, calcoli. La matematica è soprattutto comprensione. E se non si capisce non si possono dare risposte. Chi non comprende una cosa dà risposte a vanvera e chi insegna deve accettare che ci sia qualcuno che a volte non capisca un concetto. Allora bisogna trovare un’altra via per spiegarglielo, un’altra strada».
Le nuove generazioni digitali con i numeri hanno più confidenza di trent’anni fa...
«Non è proprio così. Io amo il computer in modo viscerale ma si deve sempre tener presente che è uno strumento e prima viene il pensiero. Bisogna rendersi conto di come funziona, altrimenti serve a poco. Altrimenti si arriva fino ad un certo punto e poi non si va più avanti».
C’è un esempio anche per questo?
«Sì, certo. Io ho una vecchia Panda con i finestrini che si alzano ancora usando le manovelle. Ogni volta che mi capita di mostrarle ai bimbi si sorprendono. E per loro è una scoperta scoprire come vanno su e giù i vetri, che c’è un procedimento e che non è una cosa automatica. Poi usano quelli elettrici e associano il movimento. Allora mi viene sempre in mente il film Non ci resta che piangere: Roberto Benigni e Massimo Troisi sanno perfettamente usare uno sciacquone del bagno, però poi quando si rompe non sanno ripararlo perché non hanno mai investito un po’ del loro tempo per capire come funziona».
In quel film Leonardo inventava il treno a vapore, lei come è arrivata a ricostruire con i disegni di allora l’icosaedro troncato?
«L’occasione è stata la tesi di una mia studentessa. E mi ci sono dedicata perché quello studio mi aveva sempre affascinata e incuriosita. E se qualcosa mi incuriosisce provo sempre a ricostruirla. Ci investo del tempo».
C’è chi dice però che investire del tempo in materie come la matematica, il latino, il greco ormai sia poco utile.
«È tempo investito per imparare un metodo che aiuta a crescere. Per stimolare un pensiero. Chi pensa in modo matematico si rende conto che se è in grado di comprendere un teorema, una formula è in grado anche di capire un’analisi economica, un articolo di giornale. È in grado di dare giudizi. È un cittadino più consapevole insomma».
Intanto oggi i bimbi a scuola i conti li fanno con la calcolatrice che c’è sul telefonino.
«Vale la stessa cosa detta per il computer. Se i conti non li sai impostare la calcolatrice non ti serve a niente. È solo uno strumento, dietro ci deve essere il pensiero».
D’accordo, ma c’è chi senza la matematica vive benissimo.
«Sì, la mia mamma. Sempre lei. Io dico di no. La matematica spesso ci dà la possibilità di vedere diversamente le cose. Le faccio un esempio. Se porto la mia Panda dal meccanico perché sento un rumore che mi preoccupa, gli spiego anche che è in basso a destra e si accentua quando giro lo sterzo quasi da ferma. Se la portasse la mia mamma gliela lascerebbe lì dicendo semplicemente: “Non va...”. La matematica abitua al pensare utile».
In tanti però quando iscrivono i figli a scuola pensano sia più utile mandarli in quegli istituti dove più che le teorie matematiche insegnano un mestiere.
«È vero. Ma c’è un limite a questa scelta. Se insegno a un ragazzo un mestiere, solo un mestiere, c’è la grande probabilità che lui continui a fare quello per tutta la vita, tutti i giorni in modo ripetitivo. Se invece si vuole puntare sull’innovazione e dare la possibilità a un ragazzo di crescere serve insegnarli un metodo, serve dargli uno strumento per comprendere le cose. Spesso quindi imparare un mestiere non basta».
E magari c’è un esempio anche per questo.
«Ci provo. Mi vengono in mente quelle confezioni che si vendono nei negozi per cucinare le torte. Uno pensa che solo il fatto di comprare quella scatola sia sufficiente a mettere in tavola il dolce perfetto, anche se non sa bene quale sia il procedimento. E invece arriva a casa e poi si accorge che non basta perché uova, latte e limone non ci sono, andavano acquistati a parte. Così ci riprova. Ma non basta ancora. Perché per cucinare quel dolce serve anche lo stampo, che nella scatola non c’è. Insomma il dolce alla fine si fa, ma al terzo tentativo».
Metodo e calcoli, ma si può numerare tutto?
«Più o meno».
Si possono classificare anche le passione, l’amore o la fede?
«Guardi, sinceramente non lo so. Anche se devo dire che oggi, soprattutto gli psicologi, tendono a quantificare tutto. Non so se sia possibile, certo è che lo sforzo che si fa per dare una valenza numerica ad un fenomeno molto spesso ti aiuta a capirlo. Non c’è certezza. Però sinceramente quando vedo un sorriso sul viso dei miei allievi finita una lezione, sono felice. Senza far troppi conti».