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 2015  agosto 03 Lunedì calendario

I 40 anni di Pippo Civati e la condanna ad essere «sempre stato troppo giovane per tutto». Storia di un liberale, tra scelte e indecisioni, tra la passione per la politica e la rottura col Pd

Caldo, afa e smog, ma niente aria condizionata per Pippo Civati, “restiamo fuori, così fumo”; capelli in un disordine controllato, abbigliamento classico da dirigente di sinistra vecchio stile, stile diventato poi veltroniano. Giacca blu, camicia azzurra e mocassini; e sempre con tono da vecchio dirigente di sinistra, è stanco ma non intende ammetterlo: “Allora mi doveva vedere tre mesi fa, prima dell’addio al Pd, ero anche dimagrito”.
Domani compie quarant’anni, e riflette: “Lo so, sono sempre stato troppo giovane per tutto. Giovedì sono anche stato accusato di comunismo. E ho risposto: ‘Ma se non ho fatto neanche in tempo a incrociare il socialismo!’”
Appassionato di politica anche al liceo?
Il mio impegno è nato con il passaggio tra la prima e la seconda repubblica, mentre al liceo abbiamo occupato per una settimana e dopo vent’anni dall’ultima volta. Però la nostra era un’occupazione di governo. Gestivo il gruppo di economia.
Ribelle, ma posato. Erano i tempi della Pantera…
Eh no… anche in questo caso ero troppo giovane.
Un giovane socialista.
Sì, ma liberale, senza particolari riferimenti o miti nel Psi di allora. Però nei primi anni Novanta la politica era affascinante, propositiva, innovativa, era il periodo dei primi scontri per l’elezione diretta dei sindaci; i primi duelli tra Veltroni e D’Alema…
Chi sosteneva?
Veltroni dal punto di vista della proiezione pubblica, ma non in maniera netta. Io ero per Prodi, esattamente come lo era Renzi, e su questo dovremmo interrogarci.
Parentesi Pd: non ha dovuto votare per Azzollini.
Sì, però mi dispiace per gli ex compagni d’avventura, ho ancora un sentimento di partecipazione, come quando accade un guaio a un tuo amico. Ah, secondo me questa mossa di Verdini è condivisa da Berlusconi, se guarda bene non c’è alcuna dichiarazione contro uscita da Forza Italia.
Il momento in cui ha dovuto prender una decisione chiave.
Barcellona 2005: ero lì per studiare all’università, e nel frattempo sono stato eletto consigliere regionale.
Tipo il film “L’appartamento spagnolo”…
Ma no, avevo già ventinove anni, in quel caso ero troppo vecchio, anche se mi sono divertito, stavo benissimo, e lì ho affrontato una crisi rispetto al mio futuro. Ha presente Arizona dreaming? C’è un pesce al quale si uniscono gli occhi: vede meglio, però perde una prospettiva.
Ci ha pensato così a lungo?
Eccome! Ero già appassionato di politica, anche se sono convinto di una cosa: il parlamentare migliore è colui che è in grado di smettere anche domani.
Cosa ha provato quando è uscito dal Pd?
Una sensazione strana: da una parte mi sentivo perso, fuori da un grande partito, dall’altra liberato.
Quando era nel Pd, non si sentivi una foglia di fico?
Infatti me ne sono andato nel momento in cui mi sono reso conto che la foglia era più importante del ruolo che ricoprivo. È come il nesso tra sincerità e complicità.
Traduciamo questo nesso.
Non avete idea del numero di colleghi parlamentari che ho incrociato giovedì (dopo il voto su Azzollini), tutti mi parlavano di vergogna, di crimine. Bene, nonostante questo, restano dentro uno schema che ogni settimana li porta a certificare quella roba lì. Quindi, o uno ribalta il tavolo, oppure si rende complice. Ah, ribadisco, di norma non sarei propenso a lasciare un grande partito, di norma penso sia una grande stronzata.
Dopo di che…
Se il grande partito non è più il tuo, o non consente più di esercitare un ruolo, allora la scelta è obbligata. Pensi come sarebbe stata questa intervista se fossi stato ancora un democratico, avrebbe chiesto il conto delle mie scelte.
Rischia di non venir più eletto.
Ho messo nel conto tutto, anche di lasciare la politica.
Per fare?
Qualcosa di completamente diverso, anche di imprenditoriale. Ma non sono preoccupato, qualcosa trovo.
Sempre nel conto.
Nel contissimo, dalla prima fiducia al governo Renzi, quando mi hanno preso in giro, accusato di essere un senza palle. Ora, a quanto pare, ho delle palle enormi.
Rimproveri a se stesso?
Boh, va studiato il contesto, magari me ne dovevo andare già quando è stato sfiduciato Letta, ma uno deve vedere il contesto, quanto un gesto è comprensibile.
Era diventato come un giovane Cacciari.
Lui è un filosofo molto più solido di me, io sono uno storico della filosofia.
Quando c’era da sentire una voce critica del Pd, i giornalisti chiamavano subito Civati o Fassina.
Lo so, e non ne potevo più. Ma dovete comprendere un aspetto…
Spieghiamolo.
Che uno non è mai solo nel prendere certe decisioni, c’è un disegno più grande, un discorso condiviso. E comunque la situazione era diventata opprimente. Ribadisco: oggi mi vede stanco, ma tre mesi fa ero devastato, somatizzavo tutto, dimagrito tantissimo, mi stavo preoccupando. Anche a casa era diventato uno degli argomenti fissi.
E la sua compagna cosa diceva?
Di andarmene, ma lei ha quasi sempre ragione, ma ha un punto di vista più distaccato, quando Matteo perse con Bersani, sentenziò: “Ora Renzi non ve lo togliete più dalle scatole”. Ah, a posteriori avrei dovuto anche votare le dimissioni della Cancellieri.
È stato il primo alla Leopolda con Renzi, poi ha ciccato la seconda… È stata una stupidaggine buttarla via, Renzi ha puntato a costruire una leadership, non un discorso politico più generale.
Di Civati si dice: è intelligente, serio, preparato, eppure nessun salto di qualità definitivo. Cosa le manca?
Non lo so, non mi pongo la questione. Forse il posizionamento politico, oppure perché ho scelto di non voler al mio fianco grandi finanziatori, ma ho puntato sui piccoli contributi.
Su cosa si loda?
Sono stato tacciato di critpo grillismo, ma ho capito prima di altri la rottura del sistema, ho capito che la prima vera scissione nel Pd c’è stata quando molti elettori di sinistra hanno iniziato a votare 5 Stelle.
Un errore?
Durante le ultime politiche, non aver capito che sul campo ci stavano delle questioni sostanziali legate alla cittadinanza, questioni che non si filava nessuno. Grillo ha vinto proprio su quelle.
Anni Ottanta, il tuo pantheon…
Oddio, e mica lo so… forse la finale dei Mondiali del 1982 insieme a mio nonno, poi non mi ricordo mica molto altro.
Anni Novanta.
(Silenzio, viso serio) La grande occasione politica. Erano più liberali ed era anche tutto molto meglio. Io stavo con Prodi.
Ma era troppo giovane per stargli più accanto. (Poco dopo si raccomanda: “Tolga qualche parolaccia, ne dico troppe”. Ci mancherebbe).