La Stampa, 3 agosto 2015
Sono sempre di più quelli che scappano al momento di pagare il conto al ristorante. «Il vero dramma è che abbiamo strumenti limitati per intervenire», denuncia Marcello Fiore, il direttore della Federazione italiana pubblici esercizi. Il reato ci sarebbe anche. Si chiama insolvenza fraudolenta. Ma a mancare sono le querele. Pieraccioni, che girò la scena cult della “zingarata” ne I laureati: «È come nel mio film, ma senza la poesia di allora»
C’è lo «scroccone» seriale, quello stagionale e ci sono quelli della «zingarata» di gruppo. Ricordate la scena cult del film I Laureati di Pieraccioni? Ecco. Se fosse ancora in vita Cesare Lombroso, discusso fondatore dell’antropologia criminale, ne avrebbe individuato tre tipologie umane. Tutte accomunate dalla capacità di cogliere l’attimo: scappare quando devono pagare il conto, abbandonando il ristorante o il bar dove hanno consumato. «Il vero dramma è che abbiamo strumenti limitati per intervenire», denuncia Marcello Fiore, il direttore della Federazione italiana pubblici esercizi (Fipe), organizzazione che raggruppa 150 mila aziende, dal barista sotto casa agli autogrill autostradali.
Gli «stagionali»
Il reato ci sarebbe anche. Si chiama insolvenza fraudolenta. Ma a mancare sono le querele. Di recente è successo a Salerno. Nota pizzeria di via Roma: si presentano due coppie di giovani, mangiano e poi si danno alla fuga. Quattro «stagionali» che sfruttavano un lungo weekend di ferie. «Non erano del posto, altrimenti li avrei riconosciuti», racconta il gestore che poi ha preferito lasciar stare. «Non avevo tempo da perdere con le denunce», dice amaro.
Anche se li avesse colti in flagrante avrebbe potuto poco. «Non è possibile trattenere il cliente contro la sua volontà perché si andrebbe incontro al reato di sequestro di persona. Bisogna aspettare le forze dell’ordine», spiega dagli uffici romani della Fipe lo stesso Fiore. Il ristoratore, d’altronde, non può procedere nemmeno all’identificazione di chi non paga, cosa che spetta al pubblico ufficiale.
Tra fughe e cerimonie
Con le comitive sono dolori. Lo sa bene il titolare di un ristorante di Moiacco, provincia di Udine: «Erano una cinquantina di persone. Alla cassa sono venuti in sette ma appena ho comunicato il conto (2500 euro, la metà in consumazioni alcoliche, ndr) si sono dileguati: ho provato a rincorrerli in auto, ma niente». Svaniti nel nulla, hanno poi confessato la «cara» bravata qualche giorno dopo. Stessa sorte, e conto più salato – sui tremila euro – per un ristoratore perugino beffato da un cinquantenne che ha organizzato la comunione di una ragazzina. «Sessanta persone si sono volatilizzate in un attimo», dice il ristoratore che, raccontando i dettagli, parla di una fuga da «organizzazione militare».
Gli scrocconi seriali
C’è anche chi, moderno Totò, ha fatto delle truffe una professione: è il caso di un signore sulla cinquantina, attivo sul litorale della laguna veneziana. «Media statura, modi e vestiti distinti, discorsi forbiti: un insospettabile», l’identikit fatto dagli operatori della zona. Dopo aver pranzato, ha chiesto di pagare in un conto unico prenotando un tavolo per la sera ma non si è presentato.
Numerosi, circa il 40% dei casi, quelli che sfruttano la legge che tutela i non fumatori: «Esco per una sigaretta», dicono. E poi, chi li prende? Se c’è il buffet diventa ancora più dura. Tra le vie amate da Alda Merini, nei Navigli milanesi, si aggira una giovane ragazza assetata. «Passa, vede un bicchiere pieno sopra al tavolo, lo prende e scappa», denunciano i ristoratori. «Ma cosa possiamo fare? – si chiedono – Denunciarla per poi non ottenere nulla? Rischiare una rissa? Rovinare il pranzo o la cena ai clienti che pagano? Lasciamo perdere e guardiamo oltre».
Come difendersi
Capita che dietro a uno scroccone, specie se seriale, si nasconda un nullatenente. «Procedere a un pignoramento o fargli una multa diventa allora impossibile», spiega Matteo Musacci, 28enne e rappresentante dei pubblici esercizi della Fipe giovani a livello nazionale. Nei suoi locali in centro a Ferrara (un ristorante e un cocktail-bar) adotta una doppia tecnica. «La sensibilizzazione del personale e la digitalizzazione». E spiega: «Mi appoggio a un software che mi permette di tenere sotto controllo i tavoli, anche quelli più lontani dalla cassa». Ma ammette: «Ogni settimana calcolo già che il 3-5% delle entrate è perso». Scomparso nel nulla. Come i moderni «scrocconi».
«Se l’ho mai fatto davvero? Una volta ci sono andato vicino: sono scappato da un locale poco dopo aver ordinato. Ero a Padova, con il mio amico e collega Domenico Costanzo, e il cameriere fu di una maleducazione tale che decidemmo di alzarci e cambiare locale senza aspettare i piatti ordinati». Leonardo Pieraccioni risponde al telefono tra una ripresa e l’altra dell’ultimo film, Il professor Cenerentolo, in uscita il 10 dicembre distribuito da 01. Esattamente vent’anni fa, nel 1995, stava girando I Laureati. Quello che si chiude con una «zingarata» entrata nell’immaginario collettivo: la fuga dal ristorante.
«Uno sketch da Amici miei», dice Pieraccioni che ricorda come è nata quella scena. «L’avevo in testa da un po’: era una di quelle leggende metropolitane che si raccontano al bar ma aveva troppi dettagli per non avere un fondo di verità». Per chi non l’avesse vista: arriva il conto, gli amici si guardano intorno e, dopo aver convenuto che la cifra chiesta è troppo esosa, organizzano una gara di corsa. «Chi arriva ultimo paga per tutti», spiegano al cameriere che diventa, a sua insaputa, un complice. L’inserviente mette in riga i quattro e sventola il fazzoletto del via. I «laureati» non si fermano, continuano a correre, e si dileguano dietro il primo angolo.
Una scena cui il regista è affezionato. Tanto da averla inserita anche in Un fantastico via vai, film uscito nel 2013. «Quando eravamo giovani noi facevamo così...», dice Pieraccioni a un gruppetto di universitari. Questa volta interpreta Arnaldo, un padre 45enne, sbattuto fuori di casa dalla moglie, che va a vivere in un appartamento di studenti. «Vent’anni dopo ti accorgi di non avere più il fiato per fare quelle cose», scherza il regista pensando al diverso epilogo della scena. Il cameriere, questa volta, lo raggiunge e lo costringe a pagare il conto.
«Con la crisi e il clima di tensione che c’è, non so se sarebbe ancora ammessa una zingarata così. Erano altri anni e c’era una magia poetica diversa», conclude Pieraccioni.