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 2015  agosto 03 Lunedì calendario

Proust e la Recherche, istruzioni per l’uso. Otto lettori d’eccezione raccontano il loro primo incontro con questo grande classico e come abbia cambiato per sempre le loro vite. Dallo storico Compagnon a Jean-Yves Tadié, da Julia Kristeva al cineasta Jérôme Prieuri motivi per abbandonarsi, anche nella stagione estiva, alle pagine del capolavoro in sette parti dello scrittore francese

La Recherche è un classico, sì, ma è anche un romanzo di quasi tremila pagine che ne contiene sette al proprio interno. Il lettore che d’estate si aggira in libreria, potrebbe accampare mille scuse per non acquistarlo, raccontando a se stesso che la valigia peserebbe troppo, che è un periodo in cui riesce a leggere solamente racconti brevi, che il capolavoro di Proust è più adatto agli umori invernali. In Un’estate con Proust (a cura di Laura El Makki, Carocci editore, 216 pagine, 15 euro), otto lettori d’eccezione raccontano il primo incontro con la Recherche, e come questo grande classico abbia cambiato per sempre le loro vite.
Antoine Compagnon, storico della letteratura e docente al Collège de France e alla Columbia University, che aveva già passato un’estate in compagnia di Montaigne, ammette che è giusto e salutare aver paura di un romanzo che tocca «questioni eterne» come l’amore, la gelosia, la memoria, il desiderio, le illusioni del tempo perduto e mai ritrovato: «Fa paura. E facciamo bene ad aver paura dei libri, perché i libri ci trasformano. Quando affrontiamo un romanzo come quello di Proust e lo leggiamo davvero, quando arriviamo fino in fondo, ne usciamo cambiati».
LA FANCIULLA IN FIORE
Jean-Yves Tadié, professore emerito alla Sorbona, ripercorre il profilo dei personaggi più importanti del romanzo, fino ad arrivare a quello di Albertine, la «fanciulla in fiore» che il narratore incontra a Balbec e di cui s’innamora. Tadié ricorda una delle immagini più belle del loro amore, il sonno «incantevole» di Albertine che finisce nello sguardo del narratore: «Ogni volta che spostava la testa creava una donna nuova, una donna di cui spesso non sospettavo l’esistenza. Mi sembrava di possedere non una, ma innumerevoli fanciulle». E dopo aver scoperto la grande originalità della Recherche, i personaggi della madre e della nonna che rappresentano entrambi una figura materna, il lettore si accorge che la scrittura, per Proust, non è altro che una rivincita sul destino, sul tempo che sembra passare inesorabilmente: «Quel che è interessante è che Proust ha trovato un luogo in cui sua madre non morirà mai, sia perché la rende immortale attraverso il personaggio della nonna – che muore ma rimane immortale – sia attraverso quello della madre, che nel romanzo non muore. Scompare, svanisce da qualche parte, eppure forse è là, dietro la pagina. Ecco come la letteratura rappresenta una rivincita sul destino. Se la morte è il nostro destino, la letteratura è il luogo in cui non si muore mai».
Jérôme Prieur, scrittore e cineasta, racconta i lati meno conosciuti di Proust, da quando si occupava di moda femminile per una piccola rivista chiamata Mensuel alle impressioni degli amici e delle persone che gli gravitavano intorno, che parlavano di un uomo «molto divertente», «un imitatore straordinario», che «non poteva leggere in pubblico una pagina del libro che stava scrivendo senza scoppiare a ridere».
LA MADELEINE
La scrittrice Julia Kristeva rievoca «il dolce più celebre della letteratura francese», la petite madeleine, capace di creare «qualcosa di straordinario» non appena se ne percepisce il gusto. Adrien Goetz, storico dell’arte, parla di Proust come di un pittore mancato. Nella Recherche, lo scrittore Bergotte muore davanti alla Veduta di Delft di Vermeer, il quadro preferito di Proust, e le sue ultime parole somigliano quasi a un testamento letterario: «È così che avrei dovuto scrivere». Robert Proust, fratello di Marcel, diceva che per trovare il tempo di leggere per intero la Recherche bisognava essere malati o rompersi una gamba. Oppure rendersi conto che non esiste un romanzo come la Recherche, così vicino alla vita tanto da confondersi con essa: «Ma per tornare a me, io pensavo al mio libro più modestamente, e sarebbe anzi inesatto dire pensando a chi l’avrebbe letto, ai miei lettori. Infatti non sarebbero stati, secondo me, lettori miei, ma lettori di se stessi».