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 2015  agosto 03 Lunedì calendario

«Io sindaco lo sono stato». E così Renzi si sente in diritto di criticare i primi cittadini e di spronarli: in quanto sa, o crede di sapere, ciò che possono fare e non possono fare, quando ci marciano con il piagnisteo dei «troppi tagli» e quando davvero stanno alla canna del gas

«Io sindaco lo sono stato». Lo ricorda sempre Matteo Renzi ma non avrebbe bisogno di ricordarlo. Perchè in qualche maniera vive ancora se stesso come sindaco: il sindaco d’Italia. Proprio per questo, si sente in diritto di criticare i primi cittadini e di spronarli: in quanto sa, o crede di sapere, ciò che possono fare e non possono fare, quando ci marciano con il piagnisteo dei «troppi tagli» e quando davvero stanno alla canna del gas. Questa consanguineità tra il premier e i sindaci è un bene o un male per questi ultimi? Si sentono più osservati e più responsabilizzati – ma non sempre e non ovunque: vedi il collasso di tante città e il caos Capitale – e allo stesso tempo, proprio perchè Renzi sindaco lo è stato e al di là del gioco dei ruoli e degli interessi può capire i loro problemi, consentono a lui rimbrotti e strattoni che ad altri premier non avrebbero permesso. Mai per esempio, in tempi più o meno recenti, tra l’Anci – ora presieduta da Piero Fassino – e il governo, in una fase di tagli agli enti locali, è stato così poco burrascoso come adesso. Nonostante sia stato richiesto ai Comuni nel 2015 – come si legge in un documento della Corte dei Conti – il contributo al risanamento più alto rispetto ad ogni altra istituzione. Si è arrivati a una stretta come quella decisa lo scorso aprile su province e città metropolitane: 744 milioni di euro per le prime e 256 milioni per le seconde. Con un taglio particolarmente oneroso per Roma, Firenze e Napoli. E giù qualche protesta, ma nessuna grande marcia in grisaglie con fascia tricolore contro Palazzo Chigi e semmai qualche contrasto tra sindaci, del tipo: perchè la mia città deve fare più sacrifici di quell’altra, che è anche più piccola e più ricca? Non a caso, arrivato a Palazzo Chigi, il segno di attenzione che subito il neo-premier ha lanciato al mondo dei municipi è stato quello di portarsi come principale collaboratore – insieme a Luca Lotti – Graziano Delrio: ex sindaco di Reggio Emiliai. E ancora. Non sfugga il fatto che, come successore e continuatore della propria politica amministrativa a Firenze, Renzi abbia scelto uno dei più da lui stimati renziani: Dario Nardella. Ciò non solo per dimostrare che non abbandonava Firenze ma anche per ribadire la centralità che Renzi attribuisce alle questioni locali. Che poi proprio dai territori – il caso Roma è quello più eclatante, ma c’è anche il caso Napoli e quello di Milano senza Pisapia – stiano venendo tanti problemi per il Pd a gestione renziana, e per il profilo di Matteo come leader non romanocentrico, suona come un vero e proprio paradosso.
AFFINITA’
Si è molto criticato, per esempio, l’atteggiamento comprensivo che Renzi ha adottato nei confronti del condannato Vincenzo De Luca. Ebbene, in questo atteggiamento più del garantismo del leader Pd ha contato in fondo una certa ammirazione – spesso esplicitata: «Come sindaco ha fatto benissimo» – che Renzi prova per la maniera concreta e molto popolare con cui l’attuale presidente campano ha amministrato Salerno. La virtuosità fattiva del territorio, contrapposta alla politica nazionale troppo chiacchierona, è uno dei capisaldi del renzismo. Se il premier si sente impossibilitato a usare questo tipo di retorica a causa di qualche sindaco non all’altezza del compito («Io se fossi in Marino non starei tranquillo» è una sua frase che vale anche per se stesso), allora va in crisi il meccanismo politico e comunicativo di Matteo. Renzi lo ha sempre detto: «Va dato più peso agli amministratori locali e ai sindaci». Proprio questi ultimi voleva mettere per lo più nel Senato riformato e non elettivo, e invece tocca ai rappresentanti delle Regioni. Comunque hanno fatto una certa impressione le critiche al Pd e anche al suo segretario – sia pure sul caso Azzolini – che sono piovute da un sindaco renziano come quello di Bari, Decaro. A riprova che la consanguineità conta, ma non è detto che regga sempre e su tutto.