Corriere della Sera, 3 agosto 2015
Sveglia in spiaggia alle 5 del pomeriggio tra il popolo del Cocoricò: «Chiudere è una boiata pazzesca perché questa non è una discoteca. È una fabbrica che ci invidiano in tutto il mondo... L’unica cosa da fare è impedire l’ingresso a gente che ha 15-16 anni. E qui chiamerei in causa i genitori». E ora non resta che cambiare posto, Peter Pan o l’Altro Mondo?
«Ehi Giampa, sveglia, digli tu qualcosa!». Sotto il sole delle cinque, dopo la nottata techno nella Piramide, Giampa stenta ad aprire gli occhi fra le sabbie libere di Riccione. «Eh?». Non ha ancora colto la portata dell’evento: hanno chiuso il Coco. Cioè, la disco dei sogni, la meta dello sballo. «Cox mi ha fatto morire ieri», balbetta pensando allo scatenato dj Carl Cox che ha animato l’ultima serata del Cocoricò, visto che da oggi la struttura ha chiuso i battenti per quattro mesi dopo la tragedia di Lamberto, il sedicenne di Città di Castello morto di ecstasy.
«A cosa serve? A chi serve chiudere? Se uno vuole trovare roba la trova anche qui sul lungomare». Arrivano da Ancona questi giovanissimi spettinati che scendono dal treno la sera prima e dormono al mare per aver dato tutto durante la notte, euro ed energie. «Chiudono il Coco? E andremo al Peter Pan o al Byblos». «Giampa, stasera c’è lo “schiuma” all’Altro Mondo».
Un posto si trova, insomma. Non è un problema quello, basta un po’ di gente, di musica e qualche ragazzina da «beccare». Per loro va così. Ma c’è anche chi è seriamente dispiaciuto perché il Cocoricò non è solo sballo ed ecstasy. «Loro hanno i grossi nomi che girano il mondo: Nina Kraviz, Richie Hawtin, Capriati. Questi vengono a Riccione per il Coco, mica per il Peter Pan», aggiusta il tiro Marco Curti con la faccia di chi detesta certi ragazzini, come questi di Ancona, lui che di anni ne ha almeno venti ed è di Arezzo. «Qui ho fatto a lungo il pierre e posso dire che di droga ne gira sì, ma come dappertutto. Chiudere è una boiata pazzesca perché questa non è una discoteca. È una fabbrica che ci invidiano in tutto il mondo... L’unica cosa da fare è impedire l’ingresso a gente che ha 15-16 anni. E qui chiamerei in causa i genitori». Il suo è un pensiero diffuso fra i «vecchi» del Cocoricò. Che fanno un ragionamento di questo tipo: bloccano tutto perché è morto un ragazzino di droga, e allora dovrebbero mettere i sigilli anche alle scuole, ai parchi, alle stazioni.
Il popolo del Coco è però variegato. Ci sono i baby, ci sono gli over, ci sono gli ospiti e ci sono i dipendenti e i collaboratori. Nel corso degli anni la discoteca si è fatta industria, arrivando a circa 200 lavoratori fra baristi, camerieri, buttafuori, parcheggiatori, contabili, guardarobieri, pierre.
Rosy, 50 anni, ci ha fatto tutta la carriera lì dentro, da cameriera a promoter di attività culturali per Morphine, una sorta di laboratorio creativo che organizza concerti e ha rapporti con il museo di Rimini. Sospira: «Inutile negarlo: siamo di fronte a una struttura che è cresciuta enormemente e dentro c’è di tutto. Girano artisti, ma gira anche alcol, e gira droga. Come dappertutto, però. Nel tempo l’età media si è abbassata e forse questo è un problema. Io ho vissuto molto male la vicenda di Lamberto. Ma di chi è la colpa? Di tutti? Del locale? O del singolo che ha venduto la droga e dell’altro che con leggerezza l’ha presa?». Rosy è preoccupata, per il lavoro e per questo ambiente che per lei è una seconda famiglia. «Facciamo cose che in Italia nessuno può permettersi e a me dà una grande soddisfazione».
Quanto a chi l’ha presa, l’ecstasy, una parola ha voluto dirla anche Libero, il ragazzo che nel novembre 2011, alla festa dei suoi 18 anni, si è salvato per miracolo da quella serata esagerata, pagata con un trapianto di fegato: «Visto quel che è successo, io sarei stato anche fortunato. Ma a tutti gli adolescenti dico solo: correte dietro alle ragazze lasciando perdere quella robaccia, c’è più gusto. Ma tanto non serve a nulla perché loro sono com’ero io quattro anni fa: sordo a qualsiasi consiglio».
Alle 7 di sera è tempo di Mojito e di Jager bomb. I bar di via Dante si animano. Arriva un marcantonio con la maglietta nera del Cocoricò: «Sei anche tu un agente in borghese? No, perché ogni volta che la metto mi fermano e mi controllano... Io ci lavoro, sono responsabile delle vendite degli eventi. Se perdo lo stipendio andrò a chiederlo al questore». E come lo dice, arriva un altro con la stessa t-shirt, questo più giovane e dall’aria di sfida, con la fidanzata a fianco che cerca di calmarlo: «Vado da dieci anni al Coco, cosa vuoi sapere? Se la prendo? Sì, la prendo, vado anche per questo. Embeh?». Ma forse è solo una provocazione.
All’improvviso, sulla passeggiata del Trampolines dove impazza l’happy hour, spunta chi non ti aspetti: Mohamed Fikri, il giovane marocchino che era stato ingiustamente coinvolto nella vicenda di Yara Gambirasio. È con tre amici ed è anche lui un assiduo del «tempio» di Riccione: «Se chiude mi spiace tantissimo perché c’è musica eccezionale. Ieri sera ero lì». È arrivato sabato da Piacenza. Pasticche? «Figurati, siamo musulmani, nemmeno l’alcol». Ragazze? «Magari!». Loro della chiusura non fanno un dramma: «Va bene anche il Peter Pan». Dove troveranno Giampa e i suoi cinque amici, che alle otto di sera si sono già rifatti la cresta. Pronti per l’avventura nell’Altro Mondo.