Il Sole 24 Ore, 24 gennaio 2010
Ritratto di Andrea Costa
UN ANARCHICO ALLA VICEPRESIDENZA DELLA CAMERA – «Salutiamo il nostro compagno di scuola. Non aveva avuto denaro per fare studi regolari. Non poteva essere iscritto. Era solo uditore, ma udiva Giosuè Carducci. Sacro uditorio era questo. Vi si preparavano i militanti e i confessori, gli eroi e i martiri». Con queste parole Giovanni Pascoli commemorava, cento anni or sono, il romagnolo Andrea Costa, suo compagno di scuola e primo socialista a sedere in Parlamento. Martedì prossimo lo ricorderanno, alla presenza del Capo dello Stato, il presidente della Camera Gianfranco Fini e il presidente della Fondazione Fausto Bertinotti.
Figlio di un maggiordomo di casa Orsini (dalla quale veniva Felice, l’attentatore nel gennaio del 1858 di Napoleone III) il giovane Costa era nato a Imola nel 1851. I primi passi di agitatore politico (il padre voleva farlo prete) li muove in Romagna dove si fronteggeranno, tra duelli, banchetti e bicchierate, anche nel nuovo secolo, le cravatte nere dei mazziniani e quelle rosse dei socialisti. Ma il primo approdo di Costa è tra gli anarchici di Michail Bakunin. Il quale, già cacciato da Karl Marx dalla prima internazionale, ripone grandi speranze nel giovane amico e compagno romagnolo. Di lui dice: «Quando parla agli imolesi pare si rivolga ai proletari di tutto il mondo».
Costa nell’agosto del 1874 è al fianco di Bakunin nella fallita insurrezione. Finirà in modo tragicomico, come ha raccontato Riccardo Bacchelli nel suo godibilissimo romanzo storico Il diavolo al Pontelungo:
Costa andrà in galera, Bakunin riparerà in Svizzera scappando vestito da prete.
Ma a trarre vantaggio da quella conclusione sarà più Costa che Bakunin. Se infatti il vecchio agitatore russo morirà di lì a poco a Berna tra le braccia di un’agente dello zar che doveva spiarlo e invece finì per fargli da “badante”, Costa una volta uscito di galera (due anni dopo) inizia un percorso che lo farà approdare al socialismo gradualista, poi in Parlamento, infine alla vicepresidenza della Camera.
Fondamentale l’incontro con Anna Kuliscioff, che divenne la sua compagna e dalla quale ebbe anche una figlia, Andreina, la quale non si occupò mai né di rivoluzione né di socialismo, ma sposò Luigi Gavazzi proveniente da una famiglia di imprenditori tessili lombardi. Quanto ai nipoti della Kuliscioff e di Costa, uno divenne abate del Monastero benedettino di Subiaco, l’altra divenne carmelitana scalza.
La Kuliscioff, che in seguito si legherà a Filippo Turati, intanto non lesina accuse di maschilismo a Costa. In una lettera gli scrive: «Tu cerchi in me il riposo, io in te la vita. Tu non vuoi o non puoi capire che l’abbandono, la pienezza non sono che la conseguenza di una vita reciproca piena di comprensione dei pensieri, dei sentimenti e delle aspirazioni». A unire i due era certamente, oltre la lotta politica, alla quale pagarono un prezzo altissimo con diverse detenzioni nelle carceri di mezza Europa, era anche la passione e l’amore. Ma Anna aveva le sue radici nei nichilisti russi, Andrea nella sanguigna Romagna.
Una volta approdato alle sponde socialiste Costa spiegò più o meno così il fallimento degli anarchici: «Noi internazionali ci chiudemmo troppo in noi stessi e ci preoccupammo più delle nostre idee che dei bisogni del popolo. Con il quale non ci mescolammo abbastanza. E così il popolo non ci ha capiti. Che le lezioni dell’esperienza ci profittino». E fu così. Con le elezioni del 1882, anche grazie ad una modifica della legge, che consentirà l’iscrizione nelle liste elettorali ai cittadini maschi che abbiano conseguito la seconda elementare o dimostrino di essere” alfabetizzati”, Costa entra, come primo deputato socialista, eletto con tremila e passa voti nel collegio di Ravenna, alla Camera dei deputati. Dove, salvo una breve parentesi, resterà fino alla morte. Dopo le cannonate di Bava Beccaris a Milano (1898) evitò il carcere,grazie all’immunità parlamentare.
Alla Camera, sin dal principio, strinse buoni rapporti con la sinistra cosiddetta “borghese”, fondando insieme a Giovanni Bovio e Felice Cavallotti il “fascio della democrazia”. Nel 1883 fu iniziato massone alla loggia Rienzi di Roma. I buoni rapporti con la sinistra borghese, certamente lo favorirono, allorchè nel 1908, Costa, che sotto Minghetti era finito in galera, con il favore di Giolitti, divenne vicepresidente della Camera. E non è un caso che in quegli anni proprio Giolitti aveva modo di andare dicendo: «La libertà ha mandato in soffitta Karl Marx».