La Stampa, 30 luglio 2015
L’uomo che volle collezionare il mondo. Nell’Olanda del ’700 un farmacista anticipò Linneo: raccolse centinaia di specie animali e vegetali e le catalogò in un libro che accese la passione bibliofila
Aveva una farmacia vicino al porto di Amsterdam, dove approdavano navi da ogni angolo del mondo, perché l’Olanda settecentesca era un baricentro della prima grande globalizzazione. Curava marinai estenuati da malattie esotiche e viaggi per mare. Alla fine, invece della moneta, preferiva pagamenti in natura. Conchiglie, serpenti, pesci…, qualsiasi esemplare andava bene purché venisse da lontano. Così facendo, Albertus Seba (1665-1736) allestì una delle più preziose Wunderkammer naturaliste dell’epoca. Non pago, anzi, animato dal bruciante desiderio che ogni collezionista prova di «governare» il proprio tesoro, commissionò un catalogo dei beni, magnificamente illustrato con 446 tavole, che divenne un’opera altrettanto preziosa e folle. Richiese un investimento enorme e 31 anni (dal 1734 al 1765) per essere pubblicata. Gli ultimi due volumi uscirono quando il committente era ormai defunto da un pezzo. Una copia del Locupletissimi rerum naturalium thesauri è conservata alla Biblioteca Nazionale dell’Aia, e Taschen ristampa in edizione super economica (Gabinetto delle curiosità naturali, € 14,99, pp. 589) tutte le bellissime immagini che la componevano.
Un talento per gli affari
Il Thesaurus era il libro del mondo. Il libro che ambiva a contenere il mondo intero, man mano che veniva scoperto. Attraverso una rete di contatti, estesa dalla Groenlandia all’Indonesia, Seba si procurava piante e animali sconosciuti. Poi, con un metodo tutto suo di conservazione, a base di cere e alcol, racchiudeva i reperti in vasi, cassetti, stipetti accuratamente classificati. Fiero della collezione, la mostrava come fosse una pinacoteca, anzi, forse ancor più preziosa perché le bestie dai colori bellissimi e le forme più improbabili erano opera dell’Onnipotente Demiurgo. Tra gli appassionati visitatori della dimora-museo ci fu anche Linneo, che stava lavorando alla prima grande classificazione della Natura. Dato che possedeva talento per il business, smerciava i doppioni, realizzando anche cospicui margini (d’altronde nell’Olanda borghese la febbre di possedere cose belle o strane alimentava bolle speculative inaudite, a partire dai bulbi di tulipano). Con un’abile campagna pubblicitaria riuscì a vendere nel 1716 gran parte del tesoretto (centinaia di conchiglie, rettili, insetti) allo zar Pietro il Grande.
Concluso l’affare, Seba non si fermò appagato. Ricominciò ad accumulare, mosso da una curiosità scientifica e uno stupore per l’anomalia che non riusciva a spegnere. Ad esempio mise sottovetro un neonato deforme del Curaçao e una capra con due corpi e una testa. Per stampare il Thesaurus ragionò in grande. Commissionò le tavole ai migliori incisori di Amsterdam, si accordò con due editori che finanziarono la complessa operazione pre-vendendo l’opera a bibliofili sparsi nel mondo con un’abile operazione di marketing e un invogliante sconto. I testi, di Seba stesso con la collaborazione di celebri naturalisti, furono scritti, oltreché in olandese, in latino e francese per raggiungere un pubblico universale. L’opera uscì inizialmente in bianco e nero. Ma gran parte dei compratori si fece poi colorare personalmente le tavole.
Tavole precise nei dettagli
Il primo volume contiene piante, lucertole, ragni, uccelli. Il secondo è dedicato ai serpenti, la parte più ricca della collezione. Il terzo alla vita marina, pettini, seppie, pesci, ricci. Il quarto a insetti e minerali. L’obiettivo del magnifico libro barocco è quello di informare. Ma ogni immagine, pur precisa nei dettagli, è un’opera d’arte. Gli animali si combinano in un quadro d’insieme coerente. Formano scene. I serpenti, per esempio, s’arrotolano in anelli, spirali, ghirigori da capitello romanico o fantasie di Escher, guardano minacciosi una preda; ci sono scimmie che ridono, ghepardi che si grattano, manguste all’erta. Negli ultimi due volumi, quando Seba era ormai defunto e l’opera venne conclusa da rigorosi uomini di scienza, le immagini sono invece più anonime, sistemate in file parallele e ordinate, con proporzioni più esatte.
L’ossessione dell’ordine
All’inizio del primo volume, Seba raffigura se stesso, con la parrucca bianca, un elegante abito rosso, circondato dai reperti ordinatissimi. Perché l’ordine era una virtù, oltre che un’ossessione. Il frontespizio reca anche un’allegoria con l’Industria, la Veritas, Chronos che tiene in mano una falce inutilizzata a significare che c’è tempo per raccogliere la collezione. Poi messaggeri alati che recano doni con l’aiuto di navi, e un indiano d’America, un africano, un asiatico. Tutti e tre seminudi, un po’ chini, ingenuamente stupefatti e rispettosi della civiltà. Perché le meraviglie selvagge arricchiscono l’uomo bianco. E quanto più l’europeo conosce la natura, tanto più riesce a soggiogarla alla sua volontà di potenza, alla sacra fame del denaro, benedetta, in fondo, da quel dio che i calvinisti hanno allontanato dalle faccende umane. E Lui, sospinto più in alto nei cieli, ancor più onnipotente, insondabile e temibile nel suo giudizio, ha lasciato un vuoto su questa terra, che può essere colmato (anche maniacalmente) con cose belle e preziose per indovinare la sua benevolenza.