Corriere della Sera, 30 luglio 2015
I ragazzi che vengono da famiglie benestanti hanno rendimenti scolastici decisamente superiori rispetto a quelli con meno possibilità economiche o addirittura poveri. Lo rivela uno studio della Harvard University che dimostra che le aree della corteccia cerebrale associate alle percezioni visive e quelle dove si accumulano le conoscenze sono meglio rappresentate e più sviluppate nei giovani delle famiglie benestanti
«Papà, dunque i ricchi sono più forti di tutti a questo mondo?» «Sì, Ilyusha, al mondo non c’è nessuno più forte di chi è ricco» (Fëdor Dostoevskij, «I fratelli Karamazov»). Proprio così, ragazzi che vengono da famiglie benestanti hanno rendimenti scolastici decisamente superiori rispetto a ragazzi con meno possibilità economiche o addirittura poveri. A questo punto chi si occupa di educazione di giovani e politiche dell’istruzione – almeno negli Stati Uniti – vorrebbe sapere perché, con l’idea che saperne di più potrebbe anche aiutarci a trovare delle soluzioni.
Insomma, perché chi è ricco va meglio anche a scuola? Per anni nessuno è stato in grado di rispondere a questa domanda in modo convincente e abbastanza sofisticato. Ma qualcosa sta cambiando. Uno studio del Mit e dell’Harvard University dimostra che ci sono differenze strutturali fra il cervello di ragazzi che stanno bene rispetto a quello di chi viene da famiglie meno abbienti. Cosa vuol dire di preciso? Che le aree della corteccia cerebrale associate alle percezioni visive e quelle dove si accumulano le conoscenze sono meglio rappresentate e più sviluppate nei giovani delle famiglie benestanti. Che vivere in un ambiente familiare e sociale sfavorevole si potesse tradurre in risultati scolastici meno brillanti lo si sapeva già ma che lo si potesse apprezzare studiando il cervello nessuno fino a qualche tempo fa l’avrebbe potuto nemmeno sospettare.
«Adesso che lo sappiamo – ha dichiarato John Gabrieli professore di scienze cognitive al Mit – dobbiamo impegnarci tutti a cambiare le cose, siamo noi a dover dare più opportunità a chi non le ha avute in casa». Tanto più che negli ultimi anni negli Stati Uniti il divario tra i ragazzi benestanti e gli altri aumenta in modo preoccupante mentre quello fra etnie diverse si riduce. Non è ancora chiaro da che cosa dipendono gli effetti delle condizioni economiche della famiglia sulla struttura del cervello; forse da stress che i ragazzi più poveri avrebbero subito da piccoli oppure il non aver avuto accesso alle stesse opportunità educative degli altri ma anche più semplicemente dal fatto che quando erano piccoli gli si parlava di meno in casa.
I ricercatori di Boston sono partiti da 58 ragazzi fra i 12 e i 13 anni, 35 di loro erano benestanti, 23 venivano da famiglie indigenti. Trovare chi era ricco è stato facile ma come selezionare i ragazzi indigenti? L’hanno fatto scegliendo fra chi non si poteva permettere di pagare la mensa scolastica. I due gruppi di studenti prima sono stati sottoposti a diversi test per giudicare le loro performance intellettuali poi a risonanza magnetica di quelle regioni del cervello che presiedono a logica e ragionamento e poi linguaggio e percezioni sia sensoriali che motorie. Chi veniva da famiglie ricche aveva migliori risultati nei test che esplorano le capacità di apprendere e questo si associava a una corteccia più spessa nei lobi temporali e occipitali del cervello alla risonanza magnetica; le due variabili correlavano fra loro in maniera statisticamente significativa. Per il resto (altre aree della corteccia e quello che i medici chiamano sostanza bianca) non c’erano differenze. Vuol dire che chi è povero resterà sempre con un cervello meno sviluppato almeno in certe aree? Niente affatto. C’è grande plasticità nel cervello ed è verosimile che educazione, supporto familiare e tanto d’altro possano cambiare in senso favorevole la struttura del cervello anche in chi parte svantaggiato. Finora lo sospettavamo, da adesso le modificazioni delle aree cognitive del cervello in rapporto a certi interventi che famiglia e scuola possono fare per aiutare i ragazzi meno fortunati li si potrebbero in teoria addirittura misurare.