la Repubblica, 29 luglio 2015
Mafia, massoneria e uomini infedeli delle istituzioni. Ecco perché Mauro Rostagno fu ucciso da un sicario di Cosa nostra su ordine di un autorevole capomafia. Le sue indagini erano troppo scomode, lo dice oggi una sentenza della corte d’assise di Trapani arrivata ventisette anni dopo l’omicidio. Troppi
Aveva scelto una delle canzoni più belle di Paolo Conte per la sua nuova trasmissione in Tv. «Per capirne un po’ di più e per saperne un po’ di più non basta un attimo»: così ripeteva lo spot, mentre Mauro Rostagno vestito di bianco si accendeva un sigaro. Per capirne un po’ di più, il vulcanico direttore di Rtc indagava nei misteri di Trapani. Fra mafia, massoneria e uomini infedeli delle istituzioni. Era il pane quotidiano delle sue denunce durante il telegiornale. Per quelle denunce fu ucciso Mauro Rostagno da un sicario di Cosa nostra su ordine di un autorevole capomafia: questo dice oggi una sentenza della corte d’assise di Trapani arrivata ventisette anni dopo l’omicidio. Troppi.
Lo scrivono anche i giudici Angelo Pellino e Samuele Corso nelle 3.000 pagine del provvedimento. Quando ancora il corpo di Rostagno era riverso sul volante della sua Fiat Duna scattarono subito «colpevoli ritardi e inspiegabili omissioni» di chi doveva indagare. Le conseguenze sono state devastanti, ribadisce la corte: «La soppressione o dispersione di reperti, la manipolazione delle prove e reiterai atti di oggettivo depistaggio». Dalla sede di Rtc scomparve la videocassetta su cui Rostagno aveva scritto “Non toccare”. Lì, probabilmente, c’era il suo ultimo scoop.
Dopo un processo durato tre anni e mezzo, adesso, i giudici non hanno più dubbi. Sottolineano «tutta l’inconsistenza delle piste alternative a quella mafiosa». E scrivono che Rostagno fu ucciso per le denunce fatte e per quelle che si apprestava a fare. Storia attualissima. Perché i misteri di Trapani restano ancora ben custoditi. Proprio come denunciava Rostagno nel 1988: fra mafia, massoneria e uomini infedeli delle istituzioni. Sono i misteri che proteggono la latitanza dell’ultimo grande padrino, Matteo Messina Denaro, che dal 1993 dovrebbe stare in carcere per le stragi di Roma, Milano e Firenze. E invece sembra diventato imprendibile. L’ha ricordato il pentito Siino nel corso della processo: «Il padre di Matteo, morto nel ‘98, mi parlava malissimo di quel giornalista. Don Ciccio ripeteva: “È proprio un cornuto”». Altri cinque pentiti hanno confermato il movente e il contesto delle responsabilità attorno al capomafia Vincenzo Virga e al suo sicario prediletto Vito Mazzara, incastrato anche da una impronta genetica ritrovata su un fucile.
Ma è dalle parole di Rostagno che sono ripartiti i giudici. Nella sentenza riportano gli editoriali del sociologo giornalista. E commentano: «Bisognava mettere a tacere per sempre quella voce che come un tarlo insidiava e minava la sicurezza degli affari e le trame collusive delle cosche con altri ambienti di potere». Bisognava fare in fretta. Perché di Rostagno era noto «l’impegno civile», il suo «essere sovente controcorrente». Di Rostagno era nota a Trapani «la profondità e l’acutezza del suo sforzo di studio del fenomeno mafioso». C’era un delicato lavoro d’inchiesta «sommerso» che Rostagno stava portando avanti. Lo dicono alcuni appunti ritrovati. Raccontano del “Circolo Scontrino”, della massoneria deviata, di protezioni istituzionali. I misteri di Trapani, all’epoca sede di una struttura Gladio. «Anche su questo versante – scrivono i giudici – Rostagno poteva essere una minaccia dopo aver scoperto gli strani traffici che avvenivano a ridosso della pista di un vecchio aeroporto». Torna il tema dei depistaggi. La corte ha trasmesso alla procura antimafia di Palermo le deposizioni di dieci testimoni che avrebbero detto il falso. Nella lista ci sono anche due sottufficiali che fecero le prime indagini, il carabiniere Cannas e il finanziere Voza. «Questa sentenza rende finalmente giustizia a Mauro Rostagno», dice l’avvocato Carmelo Miceli, parte civile con Chicca Roveri, la compagna di Mauro.