la Repubblica, 29 luglio 2015
Tripoli condanna a morte Saif, il figlio prediletto di Gheddafi. È accusato di aver represso nel sangue la ribellione nel 2011 contro il regime. Le altre accuse vanno dal rapimento, al saccheggio, dal sabotaggio all’appropriazione indebita di fondi pubblici. Ma Tobruk fa sapere che non lo consegnerà mai nelle mani di chi ha deciso di fucilarlo. Il secondogenito del raìs, spesso critico nei confronti del padre, al quale chiese di avviare riforme democratiche, fu all’inizio degli anni Duemila definito il “volto umano della Libia all’estero” ma allo scoppio della primavera libica fu tra quelli che ordinarono di sparare senza pietà sulla folla nelle piazze
Saif al-Islam era il figlio prediletto del Colonnello Muammar Gheddafi, perché furbo e spietato come lui, e carismatico e opportunista all’immagine del padre che lo aveva designato suo possibile successore. Con la condanna a morte che gli ha inflitto ieri mattina un tribunale di Tripoli, Saif potrebbe fare la stessa fine dell’ex dittatore, e quella dei suoi fratelli Khamis (dato piùvolte per morto) e Mutassim: essere anche lui assassinato da chi quattro anni fa rovesciò il regime. Il secondogenito dell’ex rais è stato condannato al plotone di esecuzione per “crimini di guerra”, ossia per aver represso nel sangue le manifestazioni che nel febbraio 2011 chiedevano pacificamente riforme nel Paese. Le altre accuse vanno dal rapimento, al saccheggio, dal sabotaggio all’appropriazione indebita di fondi pubblici. La stessa pena è stata inflitta ad altri otto ex gerarchi gheddafiani, tra cui l’ex capo dei servizi segreti, l’allora potente Abdullah al-Senussi.
Saif al-Islam è però stato giudicato in contumacia, perché è ancora nelle mani dei miliziani di Zintan che lo catturarono nel sud della Libia, mentre tentava la fuga verso il Niger, e ogni giorno a Tripoli e Bengasi arrivavano notizie della sua presunta morte o del suo approdo in Paesi vicini. Appena giunta la notizia della condanna a morte, gli uomini di Zintan, vicini al governo di Tobruk, quindi nemici di quello di Tripoli, nelle mani dei Fratelli musulmani, hanno immediatamente dichiarato che non eseguiranno la condanna e che non consegneranno Saif a chi ha deciso di fucilarlo.
Critico nei confronti del padre, al quale chiese di avviare riforme democratiche, Saif fu all’inizio degli anni Duemila definito il “volto umano della Libia all’estero”. Erano i tempi in cui lasciò Tripoli per Londra, dove conseguì un master alla London School of Economics, con tesi sulla natura anti-democratica della governance globale, che risultò però truffaldina, perché “comprata” da un altro studente della prestigiosa università. Alla scoppio della “primavera” libica Saif fu tra quelli che ordinarono di sparare senza pietà sulla folla nelle piazze.
Per decisione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, Saif è anche ricercato dal Tribunale penale internazionale dell’Aja per aver concepito e orchestrato le repressioni delle proteste civili contro Gheddafi. E più volte la Corte dell’Aja ha chiesto alla Libia di consegnare Seif al-Islam al fine di processarlo. Secondo John Jones, l’avvocato britannico che avrebbe dovuto difenderlo davanti il Tribunale Penale Internazionale, quello di Tripoli è stato un processo- spettacolo: «L’intera faccenda è illegale dall’inizio alla fine, è un’esecuzione avallata sul piano giudiziario».
Ci dice Cuno Tarfusser, uno dei diciotto giudici della Corte Penale Internazionale, personalmente coinvolto nel caso perché firmò il mandato di cattura a carico del figlio dell’ex leader libico: «Da strenuo e convinto oppositore della pena di morte che considero una barbarie, non posso che esprimere tutto il mio sconcerto per questa condanna. Tuttavia se la comunità internazionale avesse esercitato le necessarie pressioni politiche sulla Libia affinché ci consegnasse Saif al-Islam Gheddafi, oggi non saremmo qui a commentare questa notizia». Anche all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani si dicono profondamente turbati per le condanne a morte inflitte ieri in Libia. «Abbiamo controllato con estrema attenzione la custodia e il giudizio a carico degli imputati, e abbiamo costatato che non sono stati rispettati gli standard internazionali dell’equo processo», si legge in una nota dell’agenzia Onu. Quanto all’altro governo libico, quello del premier Abdullah al Thani, con sede a Tobruk, ha giudicato «illegale la sentenza e il tribunale che l’ha emessa».
La condanna a morte emessa dalla Corte di Appello di Tripoli non è definitiva. Saif al-Islam e gli altri otto ex gerarchi condannati a morte hanno 60 giorni per fare appello alla Suprema Corte. L’avvocato di Al-Senussi ha già provveduto. Lo stesso farà probabilmente anche quello di Saif al-Islam.