L’Indipendente, 2 gennaio 2005
Ritratto di Tazio Nuvolari
Secondo Ferdinand Porsche Tazio Nuvolari fu «il più grande pilota del passato, del presente e del futuro».
Per tutti il”Mantovano volante” fu un affascinante mix di scelleratezza e raziocinio. Figlio di un piccolo proprietaro terriero, fin da giovanissimo si cimentò con entusiasmo nelle imprese più pericolose. Cercò
di far volare un residuato bellico, fece qualche gara in bici, quindi cominciò a vincere nelle più importanti gare motociclistiche. Corse e trionfò completamente ingessato, manovrando lo sterzo con una chiave inglese dopo aver rotto il volante, sorpassando gli avversari guidando a fari spenti nella notte per sorprenderli. Più l’inferiorità del mezzo di cui disponeva era patente, più si galvanizzava. Enzo Ferrari una volta salì su un’auto guidata dal grande Tazio e descrisse il suo stile di guida funanbolico come un «incessante precipitare nel baratro su un vagoncino dell’ottovolante». Vittima di numeosi gravi incidenti e spesso dato per spacciato, Nuvolari riuscì sempre a risorgere. Quasi fosse per vendetta,
il destino si accanì su di lui portandogli via i due adorati figli. Per questo, ormai vecchio e malato, nel dopoguerra, il pilota mantovano cominciò a guidare con folle abbandono, quasi a volere cercare al volante una morte che ormai desiderava. Anche questo ultimo disperato sforzo non ebbe risultati. Nuvolari, sfidando la sorte a ogni curva, riuscì soltanto a rendere più confusi i contorni del suo mito, a firmare nuove increbili imprese. La morte lo prese, come probabilmente era già deciso fino dall’inizio, nel suo letto, di martedì, alle sei del mattino di un giorno del 1953. Una morte normale, l’unica che poteva beffare chi aveva cercato di stanarla dietro ogni curva.