Corriere della Sera, 27 luglio 2015
«Il paradosso di Fermi non è di Fermi e non è nemmeno un paradosso». Secondo Robert H. Gray, la frase «Se gli alieni esistono, allora perché non sono già qui?» appartiene a Michael H. Hart, astrofisico oggi 83enne: «Si è rappresentato nel peggiore dei modi il pensiero dello scienziato italiano: probabilmente lui intendeva solo dire che è complicato il contatto con altri esseri a causa della difficoltà di sincronizzare le finestre temporali nelle quali una civiltà può incrociarne un’altra»
Fine di una leggenda metropolitana. E di un equivoco che ha coinvolto, suo malgrado, Enrico Fermi. Avete mai sentito la battuta «Se gli alieni esistono, allora perché non sono già qui?». È passata alla storia come il paradosso del grande fisico e per oltre mezzo secolo è stata uno dei cardini dello scetticismo (o addirittura del negazionismo) nei confronti della possibilità di imbatterci in fratelli del cosmo.
Nel 1950, mentre lavorava nei laboratori di Los Alamos, Fermi prese parte a una conversazione con alcuni colleghi, tra i quali Edward Teller. La chiacchierata, avvenuta a pranzo nella mensa del laboratorio, verteva sull’avvistamento di un oggetto volante non identificato riportato dalla stampa, episodio sul quale ironizzava una vignetta satirica. Da quel punto di partenza, la discussione si allargò ad argomenti correlati, finché improvvisamente Fermi esclamò, appunto: «Where is everybody?» («Dove sono tutti quanti?»). Di qui un’interpretazione estensiva, attribuita a lui: non c’è vita al di là della Terra.
Per la verità nel corso dei decenni tanti hanno respinto il modo in cui l’episodio è stato tramandato, sottolineando che probabilmente era una semplice battuta scherzosa. Tanti si sono anche arrabbiati per lo sfruttamento improprio dell’immagine dello scienziato, al quale, essendo mancato nel 1954, non fu più possibile replicare. Nel suo libro Astrobiology, uscito a metà dello scorso marzo, l’astronomo americano Robert H. Gray si è preso la briga di rimettere le cose a posto: «Il paradosso di Fermi non è di Fermi e non è nemmeno un paradosso», argomenta dalla pagina 195 alla 199 del volume. L’affermazione «se non sono qui, non sono da nessuna parte», appartiene infatti a qualcun altro, ovvero a Michael H. Hart, astrofisico oggi 83enne. «Fermi non ha mai scritto nulla in questi termini – spiega Gray —. Questa frase, invece, è stata pubblicata da Hart. Secondo lui, i viaggi interstellari e la colonizzazione delle galassie sarebbero inevitabili se esistessero intelligenze extraterrestri. Ma il loro non manifestarsi al cospetto degli umani prova che non esistono da nessuna parte. Quindi il paradosso di Fermi appare generato dall’esternazione di Hart, più che dall’interpretazione dell’interrogativo del fisico italiano».
Il guaio è che l’appropriazione indebita del nome di Fermi per associarlo a un’ipotesi ben precisa ha ammantato di autorevolezza le azioni rivolte a smontare la ricerca della vita extraterrestre. «Il Congresso americano – conclude Robert H. Gray – ha addirittura sfruttato il paradosso per cancellare i fondi destinati al Seti (acronimo di search for extra-terrestrial intelligence, ndr). È giunto il momento di dire che il paradosso non è valido, che non è mai esistito e che si è rappresentato nel peggiore dei modi il pensiero di Enrico Fermi: probabilmente lui intendeva solo dire che è complicato il contatto con altri esseri a causa della difficoltà di sincronizzare le finestre temporali nelle quali una civiltà può incrociarne un’altra».
Gli equivoci, d’altra parte, ci appartengono come razza, un po’ perché rimandano a una famosa frase di Albert Einstein («Solo due cose sono infinite, l’universo e la stupidità umana. E non sono sicuro sulla prima»), un po’ perché servono ad alimentare convenienze spicciole: quelle coltivate dai detrattori della ricerca della vita extraterrestre non sono state, e non sono, inferiori a quelle di coloro che invece la continuano a inseguire.