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 2015  luglio 27 Lunedì calendario

Il mistero della morte di Loris e quei sei minuti di buio che possono cambiare tutto. Bugie, accuse, forse un complice, nella zona dove girano il commissario Montalbano, tutti gli indizi portano ad accusare la madre 26enne, Veronica Panarello

La inchiodano sei minuti di buco di un filmato sfocato, sei minuti nei quali la sua auto sparisce dall’occhio della telecamera per ricomparire sulla strada, sei minuti necessari per disfarsi del corpo del piccolo Loris, strangolato e gettato, in quei sei minuti, in un canalone profondo due metri. Le indagini sono quasi finite e tra sesso (pedofilo, simulato), bugie (numerose) e video tape (sfocati) non c’è la prova regina: ma è proprio la mancanza della prova del suo passaggio in auto la mattina del 29 novembre dell’anno scorso nel tragitto da casa a scuola a inchiodare, per la Procura, Veronica Panarello, mamma di 26 anni di Santa Croce Camerina, in provincia di Ragusa, che alle 8.32 uscì da casa con i suoi figli Loris, 8 anni e Diego, di 4 anni. Doveva accompagnarli a scuola, e dopo otto giorni di menzogne e giochi di prestigio davanti investigatori e magistrati è stata arrestata con l’accusa di avere strangolato il piccolo Loris, che a scuola non è mai arrivato, trovato alle 5 del pomeriggio in un canalone a 4 km dal paese, nella zona del Mulino Vecchio, senza segni di violenza sul corpo e senza le mutandine.
Il giallo di Santa Croce attende solo la fine dell’incidente probatorio centrato sulle immagini delle telecamere disseminate quella mattina nelle strade del paese in cui l’auto di Veronica, nel consueto tragitto verso la scuola, non compare mai e che, se per l’accusa, non aggiungeranno nulla di nuovo, la difesa proverà a smontare sotto il profilo tecnico. “Il quadro per noi è chiaro – dice il procuratore di Ragusa Carmelo Petralia, che fino a mercoledì scorso ha continuato ad ascoltare testimoni – quelle immagini serviranno solo per il dibattimento”.
E sono immagini che per l’accusa inchiodano Veronica, che avrebbe commesso da sola l’omicidio nonostante una testimonianza agli atti descriva la presenza di un potenziale complice. Ad aprire scenari nuovi è l’operatore al monitoraggio delle telecamere, piazzate nelle strade del paese, Vincenzo Lena, che guardando il giorno dopo i frame della zona del Mulino Vecchio si è accorto della strana manovra di un’auto: “Da una telecamera posizionata sul bordo cancello dell’azienda Agnello, intorno alle ore 9.30 – ha detto l’operatore – ho notato un’autovettura utilitaria di colore rosso che proveniva dal vecchio mulino. Questa, stranamente, faceva retromarcia e si fermava accanto al cassonetto dei rifiuti ivi posizionato. Dall’auto scendeva una persona alta vestito con giubbotto nero e maglia bianca e pantaloni a zampa di elefante. Questi, dopo essersi sistemato i pantaloni, apriva il cofano posteriore da dove prelevava un qualcosa e lo buttava all’interno del cassonetto”.
Per il Tribunale del Riesame è l’indizio della presenza di un complice, per la Procura, invece, Veronica, uscito di scena il cacciatore Orazio Fidone, che trovò alle cinque di quel pomeriggio il corpo nel canalone, ha fatto tutto da sola, ripresa nei suoi passaggi dell’occhio del Grande Fratello del paese. Alle 9.24 la sua Polo viene inquadrata dalla telecamera TD11 alla rotonda Despar, diretta verso Punta Secca. Un minuto più tardi un’altra telecamera, della ditta Agnello, riprende il passaggio di un furgone bianco seguito da altre vetture scure. Solo una di queste svolta per il Mulino Vecchio, sulla strada per il canalone: per la procura è l’auto di Veronica, che riappare nell’occhio della telecamera della ditta La Cognata 9 minuti più tardi: se avesse gettato la spazzatura, così come ha riferito, avrebbe impiegato al massimo 5 minuti.
Sarà un processo, dunque, a stabilire se la morte di Loris è a causa di una madre definita come una donna diabolicamente manipolatrice, capace di “sconcertante glacialità nell’ordire a un rapimento a sfondo sessuale”, vittima di un “groviglio di risentimenti, di ansie, di desideri, di una forte, insomma, sofferenza individuale”, come dice il procuratore di Ragusa. Con la difesa la battaglia giudiziaria si gioca sull’ora della morte, che l’accusa colloca dalle 8.30 alle 10 del mattino e l’avvocato Francesco Villardita, ormai consumato ospite di salotti televisivi di tutte le reti, sulla base di una consulenza di parte sposta due ore in avanti, quando Veronica ha ormai un alibi di ferro: la partecipazione a un corso per l’uso del Bimby a Donnalucata, a 14 km di distanza.
E annacquata la testimonianza della vigilessa Schembari, che in tre verbali sfuma le sue certezze di aver visto quella mattina la Polo nera con Veronica vicino la scuola; alla difesa, oltre all’ora della morte, restano i rilievi sulle fascette bianche da elettricista, l’arma del delitto, come quelle che Veronica, stranamente, consegna alle maestre del figlio che vanno a trovarla a casa: le fascette hanno una zigrinatura, ma sul collo del bimbo non ve n’è traccia. Per il tribunale del riesame, che ha confermato il carcere per Veronica con un’ordinanza di 110 pagine, la fascetta sarebbe stata stretta dalla parte non zigrinata, ma gli avvocati dicono di poter dimostrare che in quel modo non avrebbe potuto essere bloccata.
Misteri ancora da risolvere in un’inchiesta svolta sotto l’occhio di decine di telecamere piazzate davanti a strade e negozi che inquadrano Veronica con i due bimbi uscire di casa, la riprendono mentre accompagna il piccolo Diego alla ludoteca e la inquadrano mentre per ben due volte, a distanza di un’ora, sulla strada verso il Mulino Vecchio, dove, dice lei, è andata per gettare l’immondizia”senza utilizzare – dicono gli investigatori – un efficiente servizio di raccolta dei rifiuti vicino casa”.
Le due inquadrature riprendono la Volkswagen di Veronica sulla strada da cui parte la trazzera che conduce al Mulino Vecchio, dove non ci sono telecamere e dove lei nega di essere mai andata. Per la Procura, dunque, il quadro è chiaro: uscita di casa con i due bimbi, Veronica accompagna alla ludoteca il solo Diego, dopo che Loris è rientrato in casa: una telecamera di fronte il portone riprende una figura “compatibile” con quella del bambino dirigersi verso l’androne. Poi torna a casa, per definire “la questione”, come scrive il Tribunale del riesame, uccidendo il bambino con il quale aveva avuto la lite poco prima. Ed esce con il suo fardello di morte, scendendo a piedi tre piani con il rischio di essere vista, per liberarsene nel canalone.
Nonostante il corso di cucina inizi alle 9.30 (e vi arriverà, in ritardo, alle dieci) torna di nuovo a casa “per controllare il luogo del delitto” (lei dirà per recuperare un’agenda dimenticata). Bugie e ricordi incompatibili con i riscontri segnano i suoi interrogatori, interrotti frequentemente da malesseri “da cui si riprende con sorprendente velocità”, come quando si rifiuta di salire sull’ambulanza per ritrovare il corpicino. Ne sono certi: strategia manipolatoria, tendenza a delinquere.