la Repubblica, 24 luglio 2015
La grande retata degli avvocati di Pechino. Arrestati oltre 230 legali, quasi tutti difensori di attivisti impegnati nei diritti civili. La propaganda del presidente Xi Jinping accusa gli avvocati di essere «sobillatori in cerca di soldi e di fama»
La Cina è scossa dalla più violenta repressione contro gli avvocati degli ultimi vent’anni. Dai primi di luglio 238 legali sono stati arrestati e la retata non risparmia i loro familiari, decine di attivisti per i diritti civili ed esponenti religiosi. Alcuni tra i più prestigiosi studi legali del Paese sono stati definiti «bande di criminali colpevoli di interferire nei processi e di fomentare disordini». La propaganda del presidente Xi Jinping accusa gli avvocati di essere «sobillatori in cerca di soldi e di fama».
L’offensiva si è scatenata dopo che negli ultimi mesi i legali hanno accettato di difendere cinque femministe arrestate a causa di una campagna anti-molestie, l’assistente di una corrispondente germanica reduce dalla rivolta anti-cinese a Hong Kong, l’archistar Ai Weiwei, presunti “terroristi” picchiati dalla polizia, centinaia di sfrattati dai governi locali e di sostenitori dei diritti umani. La polizia ha fatto irruzione in casa degli avvocati nel cuore della notte e ha perquisito e fatto chiudere i loro uffici. Decine di legali che si occupavano di casi “politicamente sensibili” sono stati invitati a «prendere un tè» dai funzionari del partito, cortesia che spesso prelude al fermo. Amnesty International ha denunciato la scomparsa di 50 familiari di avvocati, sei i legali spariti.
Per i media di Stato la stretta «si è resa necessaria perché i legali operavano contro il sistema, costruendo casi finalizzati a infangare la giustizia cinese». L’accusa di «incitamento alla sovversione» è quella vaga usata per incriminare i dissidenti e può costare 15 anni di carcere.
Tra gli studi nel mirino, il più famoso è il “Fengrui”, condotto nella capitale dall’avvocato Zhou Shifeng, simbolo dei giuristi che hanno il coraggio di difendere chi viene incriminato per reati politici, o connessi con la libertà d’espressione. Oltre a Zhou è finita in carcere l’avvocatessa Wang Yu, scomparsa assieme al marito e al figlio di sedici anni.
Gli interrogatori si svolgono in luoghi segreti e in assenza delle minime garanzie giuridiche. La tv di Stato ha trasmesso anche la “confessione” di Zhou Shifeng, affermando che «gli episodi accertati di disordine pubblico sono oltre quaranta». Irriconoscibile e sconvolto, il legale ha ammesso che nel suo studio «gli errori sono stati molto gravi». Il suo collega Teng Biao, esule negli Usa, ha osservato che «quasi tutti gli avvocati fermati avevano tra i propri assistiti attivisti per i diritti civili».
L’associazione Human Rights Watch ha lanciato l’allarme sul rischio di torture e di maltrattamenti. «Abbiamo elementi per affermare – ha detto Maya Wang – che la polizia stia ricorrendo alle confessioni forzate con l’uso della violenza». Le autorità respingono le accuse, assicurando che «si tratta di azioni di contrasto dell’illegalità, non di questioni di diritti umani». Dopo la sua ascesa al potere Xi Jinping ha scatenato quella che ha chiamato «guerra per lo Stato di diritto». I primi a finire nel mirino sono stati funzionari pubblici e manager privati, accusati di corruzione. È scoccata poi l’ora delle multinazionali straniere e degli ufficiali dell’esercito, incriminati per lo scambio di tangenti colossali. La repressione contro gli avvocati segue invece quella contro minoranze etniche, giornalisti e fedeli cristiani e musulmani, tacciati di voler «cancellare l’identità cinese e infettare la nazione con i valori occidentali». Tra le teste più importanti saltate dentro la cerchia dei leader rossi, c’è anche quella di Ling Jihua, 58 anni, ex braccio destro del presidente Hu Jintao, predecessore di Xi.
L’ex segretario presidenziale, tra i funzionari più potenti della Cina, è stato arrestato dopo due anni e mezzo di indagini, con l’accusa di aver intascato tangenti milionarie, rivelato segreti di Stato e preteso sesso sfruttando il proprio ruolo. La sua spettacolare caduta era iniziata nella primavera 2012, dopo che il figlio era morto al volante di una Ferrari, regalo dell’ex capo del partito di Taiyuan.
La pulizia contro i corrotti ha colpito finora gli avversari interni di Xi Jinping, ma continua a riscuotere l’appoggio della gente. La purga contro gli avvocati non gode invece il sostegno popo-lare: migliaia le critiche sul web, subito censurate, preoccupate del via «ad una nuova stagione di terrore e di repressione maoista».
Per “Xi il Grande” il ricorso all’intimidazione dei legali è il primo cedimento a nervosismo e insicurezza interna. Segnale che il rinnovato controllo ideologico del Paese incontra più resistenze del previsto.