la Repubblica, 24 luglio 2015
La memoria ha i capelli bianchi. Se Manlio Milani, presidente dei familiari delle vittime, nella storica sentenza sulla strage di Piazza della Loggia vede l’occasione per fare chiarezza, sui terribili anni che vanno dal ’69 al ‘74, ovvero da piazza Fontana a Piazza della Loggia una giovane (e brava) conduttrice definisce quel quinquennio “anni di Piombo”. Non è così, quelli vennero dopo e furono (anche) la diretta conseguenza degli anni del Tritolo
Bastano quarantuno anni a seppellire la memoria di un Paese? E basta la sentenza sulla strage di Brescia a disseppellirla? Vorrei avere la meravigliosa serenità e l’integrità psicologica di Manlio Milani, presidente dei familiari delle vittime, che nella storica sentenza vede l’occasione per fare chiarezza, finalmente, sui terribili anni che vanno dal ’69 al ‘74, ovvero da piazza Fontana a Piazza della Loggia. Gli anni dello stragismo fascista.
Ma già seguendo – con gli occhi lucidi – i telegiornali che ne parlano, sento una giovane (e brava) conduttrice definire quel quinquennio “anni di Piombo”. Non è così, gli anni di Piombo vennero dopo, e furono (anche) la diretta conseguenza degli anni del Tritolo, degli attentati neri all’ombra dei traditori di Stato che nel nome dell’anticomunismo erano disposti a mettere in atto qualunque mostruosità. Sentendo l’errore della giovane giornalista, che a quel tempo non era ancora nata, misuro la quantità di polvere che si è depositata sui morti, sul dolore, sullo spavento. “Anni di piombo” è ormai una generica dicitura che comprende al suo interno, con confusa indeterminatezza, violenza rossa e nera, Brigate Rosse e neofascismo, una faida tribale tra i soliti italiani fanaticamente faziosi. Ma è dalle stragi nere che tutto nacque, quello fu l’uovo del serpente, e a ricordarlo, oggi, rischiamo di essere in pochi, e tutti con i capelli bianchi.