la Repubblica, 24 luglio 2015
La Ferrari arriva a Wall Street. Il Lingotto annuncia di aver consegnato alla Sec la documentazione per avviare l’Ipo del 10 per cento del Cavallino. I tempi sono ancora da definire nei dettagli ma l’operazione sarà completata nei primi mesi del 2016. E con la quotazione Marchionne potrebbe recuperare una parte dei miliardi investiti per il rilancio dell’Alfa. E, nello stesso tempo, a trasferire da Fca direttamente a Exor il controllo di Maranello
La Scuderia arriva a Wall Street. Il Lingotto annuncia di aver consegnato alla Sec la documentazione per avviare l’Ipo del 10 per cento del Cavallino e la quotazione a Wall Street. I tempi sono ancora da definire nei dettagli. Si sa che la collocazione di «non oltre il 10 per cento di Ferrari» non avverà prima del 12 ottobre, a un anno dalla quotazione di Fca alla Borsa di New York. Se la vendita del primo pacchetto arriverà in ottobre solo in un secondo momento, «nella prima parte del 2016» il Lingotto distribuirà agli azionisti Fca il rimanente 80 per cento delle azioni di Maranello. Al termine della separazione Exor, la finanziaria degli Agnelli, dovrebbe avere circa il 24 per cento delle azioni, Piero Ferrari manterrà l’attuale 10 per cento e gli azionisti Fca avranno il 66 per cento. Ma per effetto dei diritti di voto doppi garantiti dal regime fiscale olandese, Exor avrebbe il 35,8 per cento dei diritti e Piero Ferrari il 14,9. Quanto basta per arrivare al 50,7 per cento e blindare il controllo.La Ferrari spa sarà posseduta interamente da una società olandese, la Ferrari N.V e potrà così godere delle leggi sui diritti di voto garantite ad Amsterdam. Ma, a differenza di Fca, non avrà il regime fiscale inglese, bensì quello italiano: «Ferrari pagherà in Italia le tasse sui propri redditi come fanno oggi tutte le società fiscalmente residenti nel Paese», è scritto nel comunicato diffuso ieri da Torino.Nella documentazione consegnata alla Sec ci sono anche alcune indicazioni sul futuro di Ferrari. Sergio Marchionne continuerà a mantenere la presidenza della Scuderia anche dopo la quotazione a Wall Street e Amedeo Felisa continuerà a svolgere il ruolo di ad. Nel documento non si esclude che Ferrari possa essere quotata anche alla borsa telematica di Milano. Le banche che stanno assistendo Fca nell’operazione sono coordinate da Ubs. Partecipano anche Merrill Lynch e il Banco di Santander. Se la quotazione complessiva di Ferrari si avvicinerà ai 10 miliardi auspicati recentemente da Marchionne, le banche potrebbero collocare il 10 per cento a 1 miliardo di euro.
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La coincidenza ha voluto che la Ferrari «americana», una delle ragioni di scontro, quasi un anno fa, tra Luca di Montezemolo e Sergio Marchionne, nasca nelle stesse ore in cui l’ormai ex presidente di Maranello viene premiato a Detroit con il massimo riconoscimento tributato dall’America ai pionieri dell’auto: l’inserimento nella Automotive hall of fame. Ma, al di là del suggestivo gioco dei destini incrociati, la coincidenza dimostra quanto ormai lontana nel tempo sia la polemica dell’autunno scorso e quanto attuale invece sia la possibilità che con la quotazione del 10 per cento del Cavallino Fca riesca a recuperare una parte dei miliardi investiti per il rilancio dell’Alfa. E, nello stesso tempo, a trasferire da Fca direttamente a Exor il controllo di Maranello. Insomma, si misura oggi quanto la strategia di separazione di Ferrari da Fca sia funzionale al disegno di Marchionne e quanto distante fosse da quel disegno l’idea di mantenere Maranello come un mondo un po’ a parte nell’universo del Lingotto. Una valutazione che non riguarda il modo rude (per quanto ben remunerato) con cui è stato messo alla porta Montezemolo, ma la sostanza della strategia che stava dietro quella sostituzione.La nuova Ferrari che nasce in queste settimane è una società che trova in Borsa i capitali aggiuntivi necessari al suo funzionamento e agli ingenti investimenti che impone la Formula 1. Ma è anche una società che dovrà puntare sempre più sui risultati in pista per mantenere il valore del marchio. È quel che scrivono i vertici di Torino nella nota consegnata ieri alla Sec, la società di controllo della Borsa americana. «Il prestigio, l’identità e l’appeal del brand Ferrari si legge nel documento – dipende dalla possibilità di proseguire nei successi della Scuderia in Formula 1». Era stato questo, a settembre, uno dei motivi dello scontro tra Marchionne e Montezemolo. Con il primo, alla vigilia del Gran Premio d’Italia, a ri- cordare che «senza vittorie la Ferrari non è la Ferrari» e il secondo a sottolienare «gli straordinari risultati economici ottenuti in questi anni». Il secondo punto di forza del Cavallino, si legge ancora nel documento, è il suo essere italiano. Tanto che nell’elenco dei rischi per il futuro (obbligatorio nella documentazione alla Sec) c’è l’eventualità che un terremoto danneggi gli stabilimenti produttivi vicino a Modena: «Un eventuale trasferimento non solo avrebbe effetti sui costi ma potrebbe avere effetti negativi nella percezione del nostro brand».L’operazione finanziaria partita ieri prevede che in autunno possa entrare nelle casse di Fca una cifra vicina al miliardo, se si danno per buone le indicazioni sul valore complessivo del Cavallino fornite e auspicate da Marchionne («non meno di 10 miliardi»). Quella cifra equivale a circa un quarto del costo del piano di rilancio dell’Alfa. Il resto, l’equivalente dell’80 per cento delle azioni del Cavallino, rimarrà nelle tasche degli azionisti Fca che nella prossima primavera riceveranno la loro quota parte. Grazie al diritto di voto doppio, la maggioranza della società rimarrà nelle mani di Exor e di Piero Ferrari.È a quel punto che dovrà scattare la fase B della strategia di Marchionne. Depurato del valore di Ferrari, che oggi incorpora, il titolo Fca scenderà inevitabilmente. A farlo risalire potrebbe essere, a quel punto, il successo delle nuove Alfa che dovrebbero essere ormai sul mercato. Sarà praticamente impossibile che il valore di Alfa possa sostituire quello di Ferrari, ma potrebbe attutire molto la caduta del titolo Fca.In tutta l’operazione i tempi sono naturalmente decisivi e c’è da credere che a Torino li abbiano studiati nei particolari. Tanto che nelle settimane scorse, di fronte a quello che pareva un ritardo nella consegna della documentazione alla Sec, qualcuno ha ipotizzato una «delay strategy» in attesa di verificare se, prima di andare a Wall Street, fosse praticabile la grande alleanza che Marchionne sta cercando da mesi. Certo, trattare il consolidamento potendo mettere la Ferrari sul tavolo sarebbe stata cosa diversa. Ma, dopo il no di Gm, i tempi per la grande fusione si allungano e quelli del piano di rilancio di Alfa stringono. Così ieri il Lingotto ha compiuto il grande passo facendo partire una complessa operazione destinata a durare tra i sette e gli otto mesi.Dire che nella prossima primavera nulla sarà più come prima è quasi ovvio. Cambierà l’orizzonte di Fca (soprattutto se sarà partita l’operazione grande fusione) e cambierà quello di Exor. La finanziaria degli Agnelli avrà direttamente in bilancio il 24 per cento del Cavallino, il 30 per cento di Fca, la sua quota di Cnh e il 100 per cento di PartnerRe, se il 7 agosto vincerà la battaglia delle Bermuda. Nell’autunno 2016 il gruppo di Torino ci apparirà distante anni luce da quello di oggi. Esattamente come oggi appare lontana la querelle del 2014 sulla Ferrari «americana».