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 2015  luglio 24 Venerdì calendario

Quando gli italiani facevano da sé. Dopo l’invasione dell’Etiopia scattano le sanzioni economiche. E Mussolini lancia l’autarchia: dal cibo ai vestiti, è l’ora dei surrogati

Le sanzioni tentano di impedire all’Italia proletaria e fascista di conquistare l’agognato posto al sole e l’amore delle faccette nere? La risposta è scandita dagli slogan del Regime: «Noi tireremo dritto» e «L’Italia farà da sé». Per cominciare, raggiungendo l’autosufficienza economica, presupposto a una politica estera finalmente libera dai lacci della nostra disgraziata posizione geopolitica, primo fra tutti la mancanza di materie prime. Celebre il manifesto dove un balilla fa pipì sulle inique sanzioni strillando: «Me ne frego».
L’autarchia nasce così. Le date, intanto. Il 3 ottobre 1935, le legioni di Emilio De Bono, governatore dell’Eritrea, entrano in Etiopia, iniziando la guerra senza dichiararla. Tre giorni dopo, il Consiglio della Società delle Nazioni constata la violazione dell’articolo 16 del suo Statuto e condanna l’aggressione italiana. L’Italia annuncia le prime misure autarchiche. Il 3 novembre, la SdN vota le sanzioni economiche che entrano in vigore il 18 e lo resteranno fino al 4 luglio 1936, quando l’Impero è già tornato sui colli fatali di Roma. Nel frattempo, il suo fondatore nonché duce del fascismo, Benito Mussolini, proclama in un discorso del 23 marzo 1936, anzi anno XIV, punto culminante della campagna propagandistica, che l’Italia raggiungerà la completa autarchia. Il termine è di moda: tutti i regimi autoritari ambiscono all’autosufficienza e del resto appena tre anni prima l’economista più influente, e tutt’altro che di simpatie totalitarie, insomma John Maynard Keynes, ha pubblicato un saggio dal titolo Autarchia economica.
Cicoria al posto del caffè
Le sanzioni, si sa, furono un fiasco che finì col togliere alla SdN quel poco credito che ancora aveva. Intanto perché della Società non facevano parte Paesi «di peso» con i quali l’Italia continuò tranquillamente a commerciare, come la Germania o gli Stati Uniti. E poi perché anche chi le sanzioni le applicò, come la Francia o la Gran Bretagna, lo fece poco e di controvoglia. Nessuno tagliò a Roma i rifornimenti di carbone e petrolio (all’epoca, la Libia era considerata solo un bel suol d’amore, non un sottosuolo di oro nero) né gli inglesi chiusero il canale di Suez, misura che avrebbe impedito qualsiasi operazione militare in Africa orientale. La Home Fleet fece una gita nel Mediterraneo scatenando il panico a Supermarina, ma tutto finì lì.
Intanto l’Italia scopre il dubbio piacere del surrogato. Per esempio, in campo alimentare. Per il pane, va abbastanza bene, grazie alla «battaglia del grano» lanciata già nel ’25. Di tutto il resto c’è subito penuria. E allora via il tè, sostituito dal karkadè; via il caffè, rimpiazzato (dolorosamente) da orzo, ghiande e perfino cicoria. Diminuiscono drasticamente i consumi di carne, sostituita dal pesce che è molto più a buon mercato: è l’epoca in cui il Regime costruisce colossali mercati ittici nelle grandi città. I ricettari, dalla mitica Petronilla in giù, sono pieni di manicaretti «senza» e spiegano come fare il brodo senza carne, la minestra senza pasta, il dolce senza zucchero, insomma l’ennesima variazione sul tema degli «uccellini scappati», grande classico della nostra cucina povera. Gli esperti di storia gastronomica segnalano patriotticissimi manuali con titoli come La massaia contro le sanzioni, La cucina italiana in tempo di sanzioni, La cucina autarchica.
Simil-lana dalla caseina
Idem per i vestiti. L’orbace sardo è già stato promosso a tessuto «nazionale» per eccellenza. Al resto pensa l’industria chimica. Per rimpiazzare il cotone si inventa il cafioc, ottenuto dalla ginestra e dalla canapa. Al posto della seta, c’è il rayon. Il cuoio «vero» è sostituito da quello artificiale (il «cuoital») o dalla salpa, ma per le suole si usa il sughero (è il gran momento dei prodotti della Sardegna) e Ferragamo lancia delle scarpe in pelle di rospo. La Snia Viscosa inventa il lanital, una simil-lana ottenuta dalla caseina, molto pubblicizzata dal Regime. Sparirà nel dopoguerra, dopo un tentativo di rilancio abortito a causa dell’avvento dell’acrilico (però di recente la fibra di latte è stata riesumata con successo, per i vestiti della primissima infanzia). Gli italiani mugugnano e indossano quello che trovano. Entra nell’uso comune la frase «roba di prima», che non vuol dire «di prima qualità» come si potrebbe pensare, ma «di prima delle sanzioni».
Tra una carnevalata staraciana e l’altra, la propaganda fascista inventa spettacolari operazioni d’immagine, in un’orgia di maiuscole e superlativi, tipo l’«Oro alla Patria». Il 18 dicembre 1935, «Giornata della Fede», la regina Elena sale sul Vittoriano e getta in un crogiolo la sua fede d’oro e quella del marito, Vittorio Emanuele III, ricevendone in cambio due d’acciaio. Il principe Umberto dona il collare dell’Annunziata, il cardinale di Bologna Nasalli Rocca la croce episcopale, D’Annunzio e Marconi le fedi, Pirandello la medaglia del Nobel. Abboccano anche gli antifascisti: Croce e Albertini consegnano la medaglietta da senatore. Bilancio: raccolte 37 tonnellate d’oro e 115 d’argento.
L’arte di arrangiarsi
La stampa internazionale, soprattutto quella americana, ironizza su questa potenza pezzente che vuol conquistare l’Impero e non ha nemmeno il cuoio per le scarpe. In Italia, l’autarchia viene subito percepita come una manifestazione della più italiana delle arti, quella di arrangiarsi. La comunicazione del Regime oscilla tra la rivendicazione della modernità industriale, con le geniali invenzioni dei chimici che sopperiscono alla mancanza di materie prime, e la mitologia contadina e arcaica del grano, della massaie rurali e di quando c’è il pane c’è tutto. Non senza efficacia, però. La propaganda è certo martellante, sempre retorica e spesso rozza. Però, come è emerso anche dalla recente esposizione genovese sull’autarchia (titolo, appunto, «L’Italia farà da sé»), mostra anche tratti di grande modernità, per esempio nella cartellonistica, o nel design. Insomma, non tutta l’autarchia viene per nuocere e qualche suo risultato, come i manifesti di Boccasile o gli arredi in buxus degli architetti razionalisti, è ancora apprezzabile. Un po’ come il lanital.