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 2015  luglio 24 Venerdì calendario

Il telescopio spaziale Kepler è un vero e proprio «detective del cosmo», in grado di scrutare attorno alle stelle della Via Lattea l’esistenza di altri pianeti, e quindi, di altri sistemi planetari come il nostro. È una creatura della Nasa e fa parte di un programma non a caso chiamato «Discovery» (scoperta). Tra tutti i telescopi - sia a Terra sia nello spazio - è quello che ha scoperto più pianeti, oltre mille

Non li vede, ma li presume. Poi, finalmente, li scopre. E tutte le volte che riesce a monitorare un oggetto che transita davanti ad una stella invia il «segnale di scoperta» di un nuovo pianeta.
Il telescopio spaziale «Kepler» è un vero e proprio «detective del cosmo», in grado di scrutare attorno alle stelle della Via Lattea l’esistenza di altri pianeti, e quindi, di altri sistemi planetari come il nostro. Sono poi gli astronomi che, una volta analizzati i dati, danno conferma o meno della scoperta del nuovo pianeta, che in gergo si dice «extrasolare».
«Kepler» è una creatura della Nasa e fa parte di un programma non a caso chiamato «Discovery» (scoperta). Tra tutti i telescopi – sia a Terra sia nello spazio – è quello che ha scoperto più pianeti (oltre mille). Due anni fa il team della missione aveva individuato 2740 potenziali «candidati», di cui 135 con caratteristiche possibilmente simili alla Terra. Ma oggi quegli stessi stimano che solo nella nostra galassia, la Via Lattea, risiedano almeno 17 miliardi di pianeti simili alla Terra. E uno di questi – al momento il «numero 1» – è quello annunciato ieri sera dalla Nasa.
La missione di «Kepler», telescopio così battezzato in onore dell’astronomo tedesco Johannes Kepler, era iniziata il 7 marzo 2009, con il lancio da Cape Canaveral tramite un razzo Delta II. I tagli di bilancio ne avevano fatto rinviare il lancio di tre anni, ma alla fine «Kepler», superate queste difficoltà, è entrato in un’orbita particolare, detta eliocentrica e di «trascinamento terrestre»: il periodo di rivoluzione è di 372,5 giorni, più lungo di quello terrestre, e questo fa sì che, lentamente, il telescopio rimanga un po’ «indietro» rispetto alla Terra, garantendo una maggiore precisione di puntamento e di osservazione. Due anni fa la missione pareva compromessa, a causa di un guasto, ma in seguito si è riusciti, intervenendo da Terra, a recuperare un’operatività pari al 100%. È così iniziata «K2», la seconda vita di «Kepler».
Il lavoro svolto in quattro anni e la mole di dati raccolta sono stati tali che ci sono moltissime informazioni ancora da indagare a fondo. Una potenza che è merito di uno specchio primario di 1,4 metri di diametro. L’obiettivo della missione (coordinata dal Jet Propulsion Laboratory della Nasa a Pasadena e sotto la supervisione scientifica del team dell’Harvard Smithsonian Center for Astrophisics) è quello di scandagliare stelle simili al nostro Sole e di scoprire se «ospitano» dei sistemi orbitanti.
Al momento osserva un’ampia porzione della nostra regione della Via Lattea, cercando di capire quante, tra miliardi stelle, posseggano dei pianeti: lo fa utilizzando un «fotometro» che monitora costantemente la luminosità di oltre 145 mila soli. Il suo campo d’osservazione punta, in particolare, le costellazioni del Cigno, della Lira e del Drago. I dati vengono poi trasmessi a Terra, dove sono analizzati. Scattano misurazioni super-sofisticate, che devono individuare indizi decisivi. Quali? Prima di tutto le periodiche diminuzioni di luminosità delle stelle causate dai pianeti extrasolari che transitano di fronte a loro. Sembra facile.
Ma sarebbe come provare a fotografare una lucciola a 1000 km di distanza.