Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  luglio 24 Venerdì calendario

Le forze armate turche sono scese in battaglia per la prima volta contro il Califfato. Quello che si è sempre temuto si sta avverando: scenari di guerra al confine turco-siriano dove i foreign fighters dell’Isis e di altre formazioni islamiste anti-Assad sono passati per anni indisturbati come se questa fosse una sorta di “autostrada della Jihad”

Le forze armate turche, appoggiate dagli F-16, ieri hanno dovuto scendere in battaglia per la prima volta contro il Califfato. Quello che si è sempre temuto si sta avverando: scenari di guerra al confine turco-siriano dove i foreign fighters dell’Isis e di altre formazioni islamiste anti-Assad sono passati per anni indisturbati come se questa fosse una sorta di “autostrada della Jihad”.
Quello che è accaduto ieri non era comunque imprevedibile ed era stato preceduto da una telefonata tra il presidente americano e quello turco Tayyep Erdogan: Barack Obama aveva chiesto esplicitamente di fermare l’afflusso dei combattenti stranieri in Siria. Non era questa probabilmente una richiesta causale: la Turchia è un alleato Nato ma finora ha scelto di ostacolare i curdi piuttosto che combattere il Califfato. Queste pressioni sulla Turchia rientrano probabilmente nei piani americani che, secondo voci insistenti, potrebbero lanciare un’offensiva della coalizione internazionale anti-Isis alla riconquista di Mosul in Iraq. Secondo alcune fonti diplomatiche pare anche sia stato raggiunto, dopo mesi di trattativa, l’accordo tra Usa e Turchia per utilizzare la base Nato di Incirlik, nel sud dell’Anatolia.
Questa la dinamica dei fatti. Al confine tra Turchia e Siria un sottufficiale turco è morto ed almeno altri due soldati sono rimasti feriti dagli spari provenienti da un’area della Siria sotto controllo jihadista. L’esercito turco ha risposto bombardando con i carri armati l’area e uccidendo almeno un jihadista. Secondo l’agenzia di stampa Dogan gli spari provenivano da una zona sotto il controllo dello Stato islamico.
Gli eventi in corso al bollente confine turco-siriano stanno avendo riflessi interni rilevanti in Turchia. L’attacco di ieri è avvenuto tre giorni dopo l’attentato suicida di Suruç, costato la vita ad almeno 32 persone, attribuito dalle autorità turche a un kamikaze dell’Isis.
Il Governo turco è stato fortemente criticato in seguito all’attentato di Suruç: l’esecutivo viene accusato di non aver preso sul serio la minaccia rappresentata dall’Isis, o peggio di aver deliberatamente chiuso gli occhi di fronte alle attività dei jihadisti sul proprio territorio, il principale punto di passaggio per i combattenti stranieri diretti in Siria. Migliaia di manifestanti erano stati dispersi il giorno prima a Istanbul in una protesta diretta contro il governo che più volte è stato accusato dai curdi di appoggiare l’Isis, sia in occasione dell’assedio di Kobane che negli attacchi scatenati dai jihadisti contro le forze curde.
La situazione è assai complicata. Negli ultimi giorni tre poliziotti e un militare sono stati assassinati in attacchi rivendicati dal Pkk curdo che accusa Ankara di aver “collaborato” con i jihadisti nel massacro di Suruc. Il Pkk ha anche ucciso un militante dell’Isis a Istanbul e un membro degli Hezbollah, che hanno risposto con diversi assalti alle sedi del partito filo-curdo Hdp, innescando così anche la miccia di uno scontro interetnico. E tutto questo accade mentre il Paese, dopo le elezioni di giugno, non ha ancora un governo e si avvicina la data per convocare nuove elezioni. Una cosa è certa: la Turchia di Erdogan, sul fianco Sud della Nato, non è più un bastione di stabilità.