Il Sole 24 Ore, 24 luglio 2015
Le forze armate turche sono scese in battaglia per la prima volta contro il Califfato. Quello che si è sempre temuto si sta avverando: scenari di guerra al confine turco-siriano dove i foreign fighters dell’Isis e di altre formazioni islamiste anti-Assad sono passati per anni indisturbati come se questa fosse una sorta di “autostrada della Jihad”
Le forze armate turche, appoggiate dagli F-16, ieri hanno dovuto scendere in battaglia per la prima volta contro il Califfato. Quello che si è sempre temuto si sta avverando: scenari di guerra al confine turco-siriano dove i foreign fighters dell’Isis e di altre formazioni islamiste anti-Assad sono passati per anni indisturbati come se questa fosse una sorta di “autostrada della Jihad”.
Quello che è accaduto ieri non era comunque imprevedibile ed era stato preceduto da una telefonata tra il presidente americano e quello turco Tayyep Erdogan: Barack Obama aveva chiesto esplicitamente di fermare l’afflusso dei combattenti stranieri in Siria. Non era questa probabilmente una richiesta causale: la Turchia è un alleato Nato ma finora ha scelto di ostacolare i curdi piuttosto che combattere il Califfato. Queste pressioni sulla Turchia rientrano probabilmente nei piani americani che, secondo voci insistenti, potrebbero lanciare un’offensiva della coalizione internazionale anti-Isis alla riconquista di Mosul in Iraq. Secondo alcune fonti diplomatiche pare anche sia stato raggiunto, dopo mesi di trattativa, l’accordo tra Usa e Turchia per utilizzare la base Nato di Incirlik, nel sud dell’Anatolia.
Questa la dinamica dei fatti. Al confine tra Turchia e Siria un sottufficiale turco è morto ed almeno altri due soldati sono rimasti feriti dagli spari provenienti da un’area della Siria sotto controllo jihadista. L’esercito turco ha risposto bombardando con i carri armati l’area e uccidendo almeno un jihadista. Secondo l’agenzia di stampa Dogan gli spari provenivano da una zona sotto il controllo dello Stato islamico.
Gli eventi in corso al bollente confine turco-siriano stanno avendo riflessi interni rilevanti in Turchia. L’attacco di ieri è avvenuto tre giorni dopo l’attentato suicida di Suruç, costato la vita ad almeno 32 persone, attribuito dalle autorità turche a un kamikaze dell’Isis.
Il Governo turco è stato fortemente criticato in seguito all’attentato di Suruç: l’esecutivo viene accusato di non aver preso sul serio la minaccia rappresentata dall’Isis, o peggio di aver deliberatamente chiuso gli occhi di fronte alle attività dei jihadisti sul proprio territorio, il principale punto di passaggio per i combattenti stranieri diretti in Siria. Migliaia di manifestanti erano stati dispersi il giorno prima a Istanbul in una protesta diretta contro il governo che più volte è stato accusato dai curdi di appoggiare l’Isis, sia in occasione dell’assedio di Kobane che negli attacchi scatenati dai jihadisti contro le forze curde.
La situazione è assai complicata. Negli ultimi giorni tre poliziotti e un militare sono stati assassinati in attacchi rivendicati dal Pkk curdo che accusa Ankara di aver “collaborato” con i jihadisti nel massacro di Suruc. Il Pkk ha anche ucciso un militante dell’Isis a Istanbul e un membro degli Hezbollah, che hanno risposto con diversi assalti alle sedi del partito filo-curdo Hdp, innescando così anche la miccia di uno scontro interetnico. E tutto questo accade mentre il Paese, dopo le elezioni di giugno, non ha ancora un governo e si avvicina la data per convocare nuove elezioni. Una cosa è certa: la Turchia di Erdogan, sul fianco Sud della Nato, non è più un bastione di stabilità.