Il Sole 24 Ore, 24 luglio 2015
Scopriamo qualcosa di più di Nikkei, la corazzata nipponica che è entrata nel tempio della City. Ha attività che vanno al di là della stampa ma sempre connesse all’informazione: ha partecipazioni in reti televisive e controlla l’agenzia di rating Rating & Investment Information Inc., la Standard & Poor’s del Sol levante. Ed è suo il “brand” e il calcolo dell’indice dei principali titoli della Borsa di Tokyo
Sembra un’ironia della storia. Alla fine dell’ultima guerra mondiale, con gli inglesi padroni della Germania settentrionale e tutte le grandi città giapponesi distrutte, nessuno avrebbe potuto immaginare che, 70 anni dopo, il glorioso quotidiano della City fondato ai tempi della Regina Vittoria sarebbe stato oggetto di una contesa tra tedeschi e giapponesi. Su Axel Springer ha prevalso il Nihon Keizai Shimbun e probabilmente è giusto che sia così per almeno due motivi. L’acquirente rappresenta il più diffuso quotidiano economico del mondo, con una circolazione di 3,12 milioni di unità contro le 730 mila dell’FT (di cui ormai solo poco più di 200mila cartacee). Inoltre non ha padroni esterni titolari di altri interessi: la struttura proprietaria fa capo ai dipendenti in una sorta di cooperativa. Un giornalista assunto al Nikkei ne diventa anche azionista. I dirigenti anche, cpome pure gli ex-dipendenti. Il che dà una credibilità di base alle dichiarazioni di ieri del ceo Tsuneo Kita. Dopo essersi detto estremamente orgoglioso del deal con l’Ft, «una delle più prestigiose società giornalistiche del mondo», Kita si è premurato di sottolineare i valori comuni di qualità e imparzialità del lavoro giornalistico.
«Il nostro motto è quello di fornire reporting di alta qualità sull’economia e altri settori, mantenendo correttezza e imparzialità. Il che è molto simile a quello dell’Ft. Condividiamo gli stessi valori giornalistici e insieme cercheremo di contribuire allo sviluppo dell’economia globale».
Il giro d’affari equivalente a circa 1,4 miliardi di euro posiziona il Nikkei tra i principali gruppi editoriali giapponesi, con attività che vanno al di là della stampa ma sempre connesse all’informazione: ha partecipazioni in reti televisive (tra cui spicca quella in TV Tokyo) e controlla l’agenzia di rating Rating & Investment Information Inc., la Standard & Poor’s del Sol levante.
Ed è suo il “brand” e il calcolo dell’indice dei principali titoli della Borsa di Tokyo. Per quanto cooperativa, è parte e simbolo del sistema-Giappone anche nella sua leggendaria propensione agli scoop finanziari. Non a caso i Libri Bianchi dell’European Business Council di Tokyo hanno biasimato le sue continue anticipazioni di notizie come sintomo di inaccettabili pratiche collusive e anti-concorrenziali: impossibile per i poveri giornalisti stranieri competere ad armi pari con il Nikkei.
Ma i suoi reporter sono anche bravi e tenaci, tanto che lo stesso ultimo Ceo del Tokyo Stock Exchange, Atsushi Saito – alla domanda se non avesse nulla da obiettare alla routine degli scoop del Nikkei su società quotate, che li confermano il giorno dopo – ha allargato le braccia suggerendo implicitamente a noi cronisti stranieri di darci più da fare: «Quelli a volte stavano di notte davanti a casa mia, mi venivano a bussare alle 11 di sera… Posso immaginare che facciano questo con tanti altri fino ad arrivare alla notizia». Resta il dubbio che un Michael Woodford – l’ex ceo britannico di Olympus che nel 2011 fece scoppiare lo scandalo dei bilanci truccati – forse non sceglierebbe più l’Ft come interlocutore privilegiato per il suo “whistleblowing”.
Analogamente ad altre società giapponesi, il Nikkei tuttavia non ha solide prospettive di sviluppo in patria, a causa del declino della popolazione e delle limitate prospettive di crescita dell’economia e della raccolta pubblicitaria. Con la disaffezione dei giovani verso la lettura a pagamento e non elettronica, i grandi giornali nipponici sono anche costretti a mascherare il calo di lettori cartacei distribuendo molte copie gratis in modi indiscriminati.
Alla luce di tutti questi fattori, appare quindi più che logica la decisione del grande balzo all’estero, in sintonia con il trend di acquisizioni di massa oltreconfine in corso da parte della Corporate Japan.