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 2009  novembre 29 Domenica calendario

Kurt Gödel e il suo teorema

IL DIO DELL’INCOMPIETEZZA –
«Il più grande logico dopo Leibniz, o addirittura dopo Aristotele». Ecco come John von Neumann non esitò a definire Kurt Gödel, suo collega all’Institute of Advanced Study di Princeton. Non diverso doveva essere il giudizio di Einstein. «Una volta mi disse – ricordava Oscar Morgenstern – che era entrato nell’Institute solo per avere il privilegio di camminare insieme a Gödel sulla via di casa». Le lettere e i documenti raccolti nei due volumi, che completano l’edizione italiana delle Opere di Gödel (Corrispondenza A-G e H-Z, Bollati Boringhieri, ࿬ 100,00 a volume), consentono di ripercorrerne l’opera scientifica e le vicende personali. Le schematiche risposte, che un paio d’anni prima di morire egli affida a un questionario ritrovato tra le sue carte, ci dicono che i suoi genitori erano «un vecchio cattolico» il padre, mentre la madre era luterana. Egli stesso dichiara che «la mia fede è teistica, non panteistica», si colloca «nel solco di Leibniz piuttosto che di Spinoza».
I suoi primi interessi per la matematica si erano manifestati a quattordici anni, quando aveva avuto tra le mani un manuale di calcolo infinitesimale. Negli anni dell’università a Vienna aveva seguito i corsi di logica tenuti da Rudolf Carnap e, tra il 1926 e il 1928, aveva frequentato con regolarità il Circolo di Vienna, e avuto frequenti discussioni con i membri più giovani. Anche se «col passare del tempo» si era «allontanato sempre di più dalle loro concezioni», riconosceva tuttavia che furono i membri del Circolo a suscitare il suo primo interesse per i fondamenti della matematica. Il problema di stabilire fondamenti rigorosi per la matematica si era aperto all’inizio del secolo, quando Russell aveva scoperto un paradosso nella teoria degli insiemi, inaugurando così la cosiddetta “crisi dei fondamenti” della matematica. Una “crisi” che in realtà si rivelò essere una straordinaria occasione di crescita della matematica e della logica.
All’epoca, il significato della scoperta di antinomie nella teoria degli insiemi fu «pretestuosamente esagerato», ebbe ad affermare una volta Gödel. Di fatto, le contraddizioni non comparvero in matematica ma nelle regioni di confine con la filosofia e sono state risolte «in modo del tutto soddisfacente e quasi ovvio per chiunque comprenda la teoria». Dopo anni di accese discussioni tra i matematici, nel settembre 1930 si tenne a Königsberg un convegno per confrontare i diversi punti di vista emersi nel dibattito sui fondamenti. Poco prima di partire per il convegno, in una conversazione Gödel informò Carnap della scoperta del teorema che oggi porta il suo nome, e che poi presentò pubblicamente a Königsberg. «Il punto essenziale del mio risultato – affermava Gödel – consiste nel fatto che per ogni sistema formale della matematica esistono proposizioni che si possono esprimere all’interno di questo sistema, ma che gli assiomi del sistema non permettono di decidere», ossia che sono formalmente indecidibili. In altre parole, per qualunque sistema formale coerente, abbastanza potente da esprimere gli enunciati dell’aritmetica ordinaria, esistono enunciati indecidibili, cioè che sono veri ma non possono essere dimostrati con gli strumenti del sistema. Da questa «notevole circostanza» conseguiva poi che «l’affermazione della non contraddittorietà di uno di quei sistemi appartiene sempre alle proposizioni indecidibili di quel sistema».
Von Neumann, presente al convegno, capì immediatamente la portata del teorema di Gödel, «la più grande scoperta della logica da molto tempo» come apertamente gli scrisse in una lettera. «Ritengo che il suo risultato – aggiungeva in un’altra lettera – abbia risolto negativamente il problema dei fondamenti: non c’è nessuna giustificazione rigorosa della matematica classica». Sebbene il teorema di Gödel debba essere preso non con un grano, con diversi chili di sale prima di essere estrapolato dal contesto in cui è stato originariamente formulato, è stato invocato per giustificare affermazioni nei campi più disparati, a partire dal filosofo Lucas, che nel 1961 fece appello al teorema di Gödel per concludere che «la mente non può essere spiegata come una macchina».
La corrispondenza di Gödel ci offre una chiara testimonianza dell’interesse crescente per le questioni filosofiche (e di filosofia della matematica in particolare) che lo impegnarono negli ultimi vent’anni di vita. I «matematici e filosofi della scienza, per la maggior parte, sono empiristi mentre tutti i tentativi di comprendere in modo soddisfacente la matematica all’interno di questo punto di vista sono falliti, e in epoca recente in modo assai evidente», scriveva Gödel a Popper il 10 aprile 1964. Tuttavia, continuava Gödel, «d’ora in avanti preferisco non scrivere o parlare in modo particolare di problemi filosofici, poiché non ho ancora sviluppato a sufficienza un mio proprio punto di vista». Contrariamente a Popper, Gödel sosteneva una forma di platonismo che lo portava ad affermare che «la matematica descrive una realtà non sensoriale, che esiste indipendentemente sia dalle azioni che dalle disposizioni della mente umana e che viene solo percepita, e probabilmente percepita in modo molto incompleto, dalla mente stessa». Ma «Popper ha contribuito con qualcosa di essenziale alla chiarificazione dei fondamenti della matematica?», chiedeva poi all’amico Bernays nel gennaio 1975, quasi dimenticando che egli stesso lo aveva conosciuto a Vienna nel 1932. «Di recente – scriveva Gödel a Karl Menger, suo professore all’università – ho conosciuto un signor Popper (filosofo), che ha scritto un articolo infinitamente lungo in cui, così dice, vengono risolti tutti i problemi filosofici. Egli si è sforzato di risvegliare su di esso il mio interesse e si è anche riferito al fatto che lei lo conosce e che le è molto piaciuto il suo progetto di eliminare dal mondo il problema del “senso"».
La corrispondenza ci illumina non solo sulle idee di Gödel in logica o in filosofia, ma anche in fatto di religione. Nel 1970 aveva evitato di pubblicare la sua formalizzazione della prova ontologica di Leibniz perché temeva che con ciò si sarebbe potuto pensare che «credeva proprio in Dio» mentre, a suo dire, aveva redatto quel lavoro solo come «un’indagine logica». Nelle lettere alla madre, qui pubblicate, si trova espresso quello che Hao Wang ha definito il «razionalismo ottimistico» di Gödel, la sua idea cioè che «il mondo non è per nulla caotico e capriccioso», e che «l’universo e tutto quello che contiene ha un significato e una ragione, e di fatto un significato buono e indubitabile». Poiché, come scriveva alla madre nel dicembre 1961, «l’idea che ogni cosa nel mondo ha un significato è, dopo tutto, esattamente analoga all’idea che ogni cosa ha una causa, principio su cui l’intera scienza riposa».