Il Messaggero, 24 luglio 2015
Le società di De Benedetti e quei «dividendi sottratti». Nelle carte dell’inchiesta su Tirreno Power il sistema usato per «svuotare le casse dell’azienda». I carabinieri del Noe: «Operazione a beneficio di pochi attori selezionati a danno dei restanti soci»
Svuotare le casse della Tirreno Power attraverso una società di consulenza finanziaria, la Manesa srl, della quale risultano soci al 20% il presidente (oggi ex) del cda di Sorgenia, Andrea Mangoni, e il direttore generale della stessa Tirreno Power, Massimiliano Salvi. Dalle 35mila pagine agli atti dell’inchiesta della procura di Savona a carico di 86 persone, indagate a vario titolo per disastro ambientale, omicidio colposo plurimo e abuso d’ufficio, emergono dettagli non secondari sulla situazione economica-finanziaria della società che fino alla primavera scorsa è stata controllata in modo paritetico da Sorgenia spa del gruppo Cir (famiglia De Benedetti) e da Gaz de France.
L’EVAPORAZIONE
Il presidente del cda di Sogenia, scrivono i carabinieri del Noe, «risulta essere il riferimento di Salvi su quanto da decidere in campo finanziario all’interno di Tirreno Power con valutazioni che spesso vengono tenute all’oscuro dalla totalità del soci». L’ipotesi, secondo gli inquirenti che hanno sequestrato fascicoli e quaderni negli uffici di Sorgenia, è che si sia proceduto a una «evaporazione del soggetto giuridico Tirreno Power» attraverso lo svuotamento delle casse della società «a beneficio di pochi selezionati attori in danno dei restanti soci e dei creditori non inclusi nel gruppo ristretto». Lo svuotamento delle casse – scrivono ancora gli investigatori – potrebbe essere avvenuto «mediante finte consulenze che giustificherebbero contabilmente il passaggio di denaro dalle casse della persona giuridica Tirreno Power a quelle delle persone fisiche facenti parte della Manesa Srl». In questa società, al 20% come Mangoni e Salvi, c’è anche Roberta Neri. I tre fissano un appuntamento presso il ristorante romano Tullio, luogo abituale di altri incontri intercettati dalle microspie dei carabinieri, nel corso dei quali, a più riprese, si discute di contatti da tessere con il viceministro dello Sviluppo economico Claudio De Vincenti per far redigere un decreto ad hoc che mantenga in vita Tirreno Power.
È il 14 agosto 2014, vale a dire il giorno dopo la perquisizione negli uffici di Sorgenia e di Tirreno Power. Mangoni si sente con Salvi ed è assai preoccupato perché tra il materiale sequestrato vi sarebbero suoi appunti sul tema del fallimento della Tirreno Power: «Ma tu considera, adesso io faccio per dire... sicuramente in uno dei blocchi che m’hanno sequestrato c’ho tutti gli appunti sull’istanza di fallimento...no?». Al che Salvi risponde: «Che dobbiamo fà...mo vediamo.. speriamo almeno... che le banche non ci rompano». Dell’ipotesi di un’istanza di fallimento parlano anche Salvi e l’altra azionista al 20% della Manesa srl, Roberta Neri. Sono preoccupati. Salvi: «La procura ha messo anche un altro consulente tecnico e...». Neri: «Ah!». Salvi: «E diciamo su tutta la parte amministrativa finanziaria...quindi. Ci aspettiamo che faccia un’istanza di fallimento, capito?».
LA CONSULENZA
Agli atti dell’inchiesta risulta la consulenza chiesta dalla procura di Savona alla commercialista Roberta Pera, che ricostruisce i motivi che hanno portato al dissesto dell’azienda. Ebbene, i risultati sono alquanto pesanti per Sorgenia. «Non va dimenticato – scrive Pera – che i soci in senso lato (diretti e indiretti) sono anche essi produttori e commercianti di energia, ossia concorrenti diretti di Tirreno Power. Può e deve quindi sorgere il fondato dubbio che la politica industriale di Tirreno Power possa non sempre essere stata diretta al bene della società e degli azionisti», ma che «possa essere stata piegata a interessi dei gruppi aziendali delle parti correlate». D’altronde, che i dividendi non fossero stati utilizzati per risanare il danno ambientale emerge anche da un’intercettazione tra un dirigente di Mediobanca, Giulio Rolandino (non indagato) e Mangoni. Facendo riferimento a una conversazione avuta con i vertici di Gaz de France, Rolandino dice: «C’è una responsabilità vostra che avete portato via 700 milioni di dividendi che se non fossero stati portati via sarebbero stati lì per rifare la centrale d’oro».