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 2010  ottobre 02 Sabato calendario

Le leccornie di D’Annunzio

Spiare l’Orbo veggente dal buco della serratura –
Se meritò come sopran­nome di «Vate», cioè profeta, è perché aveva il dono di precedere gli altri, nel pensiero, nel vivere, nel gusto. Abi­tuato a non curarsi di ciò che gli si parava di fronte, lasciò un segno sugli eventi che accaddero dietro di lui.In letteratura,in politica,nel­lo stile. Orbo di un occhio ma Veggen­te, Decadente eppure modernissi­mo, Superuomo e casalingo, not­turno e appartato, in realtà divo e vip ante litteram, Gabriele D’An­nunzio si rivela sempre l’opposto dell’uomo di cui ci si ricorda o che gli storici si preoccupano di ricor­daci. Entri al Vittoriale degli Italia­ni, la cittadella che tra gli anni Ven­ti e Trenta del Novecento si fece co­struire sul lago di Garda, e ti aspet­ti il mausoleo del poeta-soldato o l’alcova del dandy-esteta. Ma poi ti imbatti nel «D’Annunzio segre­to», che è il nome del nuovo mu­seo aperto nel Vittoriale da Gior­dano Bruno Guerri, storico e bio­grafo dannunziano, da due anni attivissimo presidente della Fon­dazione che gestisce il complesso monumentale di Gardone Rivie­ra.
Collocato sotto l’Anfiteatro, al­l’interno di uno spazio un tempo adibito a magazzino, il museo vie­ne inaugurato oggi dopo mesi di ricerche, ristrutturazioni, proget­ti. E un’idea: aprire le centinaia di cassetti e armadi rimasti intatti do­po la morte dello scrittore, per mo­strarne per la prima volta al pub­blico, e d’ora in poi in maniera per­manete, l’incredibile contenuto. Oggetti fino a oggi invisibili che tor­nano a raccontare la vita intima del loro Signore e Padrone.
Eccoci qui, allora, a visitarlo in anteprima, mentre l’architetto Angelo Bucarelli sta ultimando l’allestimento. All’entrata sei mo­nitor su cui scorrono filmati di re­pertorio provenienti dall’Istituto Luce e dall’archivio Rai, e poi avanti, come urlò una volta, «ver­so la vita». Che nel caso di D’An­nunzio, come in pochi altri, coinci­de con l’arte. Nelle imprese, nelle opere, negli oggetti d’uso comu­ne. Ecco perché è lui il vero padre del gusto e dello stile italiano.
Appena dentro, in una grande teca è racchiuso il lato femmineo di D’Annunzio: tutti gli oggetti e i capi di abbigliamento che sceglie­va per le sue amanti, le «badesse di passaggio» obbligate, quando entravano al Vittoriale, a spogliar­si dei propri abiti e a indossare quelli che il «Priore» D’Annunzio aveva preparato per loro: vesta­glie trasparenti, scialli, accappa­toi, sandali dorati, profumi, ciprie, pettini, spazzole, specchi, porta­gioie e forbici d’argento.
Poi un’enorme vetrina a parete con il guardaroba del Vate, o perlo­meno la parte fino a oggi segreta: abbiamo contato 40 paia di scar­pe, tutte artigianali, da camera, da sera, da giorno, da cerimonia, da notte (un modello, fatto a mano, con un piccolo fallo rosa sulla lin­guetta e sotto, a rafforzare il con­cetto, un pesce), bianche, nere, in cuoio, di pelle, coi lacci, con le ghette, basse, alla caviglia, a scar­poncino, e poi una dozzina di sti­vali, e poi ancora bastoni, guanti, foulard,fazzoletti,calzascarpe,tu­be, bombette, cappelli e cappellie­re, bretelle, babbucce orientali, ve­staglie, giacche da notte, camicio­ni.
Uno larghissimo, bianco, che in­dossava in tarda età, quando ave­va vergogna a mostrare il proprio corpo, lungo fino ai piedi ma con un’apertura sul davanti,per pote­re usare in ogni momento la sua «catapulta inarrestabile».E poi de­cine di manichini con abiti, frac, cappotti, tutti ideati e firmati da D’Annunzio. Il quale, negli ultimi anni di vita, cosa poco nota, iniziò a disegnare e produrre abiti sarto­riali. Ideò,ed è qui in mostra,persi­no un’etichetta: «Gabriel Nuntius Fecit». Più che un esteta, uno stili­sta.
Come disse una volta a Giancar­lo Maroni, l’architetto del Vittoria­le: «Sono miglior arredatore che poeta».E infatti le pareti e le colon­ne che dividono gli spazi del mu­seo sono ricoperte con le tappez­ze­rie e i tessuti disegnati da lui stes­so per la villa, la «Prioria», oppure, come un racconto nel racconto, con le riproduzioni degli autogra­fi del poeta. C’è una colonna con gli «Appunti di ginnastica da ca­mera» con gli esempi dei vari eser­cizi schizzati dallo stesso D’An­nunzio e una colonna con tutti i bi­gliettini che Ariel o Gabriel, a seconda dello pseudonimo, lasciava alla sua amata cuoca, Albi­na, che chiamava Suor Intingola e alla quale, magari, la­sciava 300 lire di mancia, equivalen­ti allo stipendio di un mese, per una buona frittata. Una delle poche cose di cui il poeta, frugale e astemio, era goloso. Lettere come que­sta: «Mia cara Albi­na, l’accordo di que­ste tre cose fritte è sublime. Avevo sognato questo piatto stamani. Ma la tua arte misteriosa va al di là del sogno», datato 26 settembre 1930. Oppure: «Per me non c’è al mondo nessun sapore più squisi­to della pernice fredda. Ho man­giato tutto ed ho leccato gli ossetti col rammarico che anche una per­nice fredda abbia una fine».
In un angolo ci sono i bauli da viaggio, con gli scompartimenti per le scarpe, gli stivali, le cami­cie... In una teca c’è il necessario per la toilette: rasoi d’argento, asciugamani cifrati, pennelli da barba, spazzolini, flaconi di profu­mo, acqua di colonia delle mar­che preferite: Florodor o Chantil­ly, fatte arrivare da Parigi. Ci sono i gioielli – che Giordano Bruno Guerri è andato in mattinata, scor­tato, a prelevare nel caveau di una banca di Gardone,dove erano cu­stoditi da decenni – tra i quali colla­ne da donna, gemelli dipinti a ma­no, medaglie, l’anello d’oro che D’Annunzio portava al dito il gior­no del volo su Vienna, e che per lui era un oggetto scaramantico... E c’è lavetrina dedicata ai suoi ado­rati cani: museruole, frustini, guin­zagli, i collari chiodati con le plac­chette d’argento con incisi i nomi degli animali, che in tarda età il po­eta chiamava tutti con nomi che iniziavano per «DAN»: Danzetta, Danchi, Danneggio, Dangiero.
C’è un biglietto, senza data, in­viato all’Hotel Cristallo di Cortina alla sua ultima compagna, Luisa Baccara, dalla lettura del quale si fatica a capire se D’Annunzio sia più preoccupato per i suoi levrieri o per l’amata:«Ho avuto una trage­dia di sodali. Stop. Danni e Dan­nozzo fuggirono rimanendo nella montagna due giorni. Stop. Cre­do che fuggiranno anche le tarta­rughe. Stop. Prego mandarmi tue buone notizie. Un abbraccio. Ariel».